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DAY #17: Gizzeria Lido > Capo Piccolo 120km

In piena notte vengo svegliato dal custode della spiaggia privata, di fianco alla mia, che mi dice: “ma prenditi un lettino per dormire, basta che domattina me lo rimetti a posto!”
Averlo saputo prima, penso io.

Al mattino faccio scorta d’acqua e riparto. L’obiettivo è quello di tagliare la Calabria per arrivare sullo Ionico.
Ma sarà il caldo o il fatto che è il diciassettesimo giorno, dopo un paio di chilometri una fitta fortissima mi prende alla caviglia. Il dolore è lancinante e non ne capisco il motivo. Sono costretto a fermarmi qualche minuto. Riparto, ma la fitta non mi da tregua: ogni 30 minuti mi devo fermare. In cima ad ogni salita mi devo fermare. Non riesco ad andare avanti.

Il fatto che oggi avessi una tappa con pochissimi dislivelli, dove avrei potuto forzare qualche chilometro in più, mi demoralizza completamente. Preso dallo sconforto perdo di lucidità ed inizio a bere in maniera sregolata ed a fermarmi a caso, senza mai cercare una sosta all’ombra. Tutto ciò mi porta a consumare 2 litri d’acqua (sui 6 disponibili) in meno di due ore. Ma la cosa peggiore è che sbaglio strada allo stesso bivio per ben due volte.

Capisco che non posso continuare così e fisso la meta su Catanzaro Lido, la spiaggia più vicina dopo la traversata. Arrivato con un po’ di fatica al mare, cerco un posto all’ombra con dell’acqua per cercare di riprendermi e capire il da farsi.
Fa un caldo asfissiante ma finalmente trovo l’acqua. Almeno questa è risolta. Devo solo più capire come fare per la caviglia.
Mentre cerco un posto adeguato, però, la ruota posteriore inizia a sgonfiarsi. Ci mancava solo più una gomma bucata.
Ho il morale a terra, non nascondo che tra le varie cose a cui sto pensando, ci sia quella di prendere un treno per la Puglia. D’altronde senza una caviglia non posso pedalare.

Spingo la bici all’ombra di un baretto sulla spiaggia e mi siedo qualche minuto. Inizio finalmente a ragionare, entro nel bar per chiedere da bere e del ghiaccio. Mi lego il ghiaccio intorno alla caviglia, e con estrema calma inizio a spacchettare il portapacchi posteriore per poter sostituire la camera d’aria.
Effettuo ogni passaggio con estrema tranquillità scoprendo che una spina, di qualche pianta, mi ha attraversato la ruota in due punti. Ne approfitto anche per pulire ed oliare un po’ la bici.

Mi butto sull’ultima spiaggia libera disponibile. Nuoto e massaggio la caviglia per alcune ore. Sembra andare leggermente meglio, per cui decido di ripartire.

Procedo ad un ritmo molto lento ed inizio un dialogo interiore con la mia caviglia: sforzo la pedalata e la mia caviglia inizia a far male, poi la lascio riposare un po’ e il dolore diminuisce.
Diciamo che ho avuto dialoghi più interessanti.

Continuo la mia pedalata blanda e attraverso alcune città fantasma: manca solo più il fieno che gira per le strade e sarei a mio agio in un perfetto scenario del vecchio west.
Per via del caldo, vedo solo qualche sparuto vecchietto seduto all’ombra di qualche casa. Tutti i negozi sono chiusi e non c’è nessuna macchina all’orizzonte.

Sono alla ricerca di un segno, qualcosa che mi possa far capire se è una giornata da buttare oppure no.
Di solito è una fontana, e finalmente la vedo dinnanzi alla chiesa di Botricello. Mi fermo a riempire le borracce e noto sull’altro lato della strada un bar.
Dovete sapere che in viaggi come questi, anche la scelta del bar non è lasciata al caso. Tendenzialmente scelgo sempre il peggiore, quello dove non ci entreresti mai, se non costretto. Se poi ci sono dei vecchietti seduti davanti, ancora meglio!
Si fanno gli incontri più interessanti in questo tipo di bar, oltre che spendere meno rispetto agli altri locali.

Ci prendo in pieno con il Bar Royal (il proprietario mi ha chiesto di fargli pubblicità). Prendo un enorme cono gelato, buonissimo, per 1,50€. Dopo che gli dico che arrivo dal Piemonte usciamo per dare un’occhiata alla bici.
Il titolare mi racconta che 30 anni fa si era fatto un viaggio fino a Vienna in autostop. Si parla dei momenti ideali per fare determinate cose nella vita ed entrambi conveniamo che sono nel momento giusto per poter fare un viaggio di questo tipo.
Prima di ripartire mi faccio consigliare qualche posto dove fare tappa durante la prosecuzione del mio viaggio. Mi consiglia tre luoghi: Le Castella, Capo Rizzuto ed un terzo che già mi sono scordato.

Riparto con un po’ più di entusiasmo, ma sempre facendo attenzione a non forzare sulla caviglia. Mi fermo spesso per chiedere indicazioni perché ho il telefono scarico e le città indicatemi non sono presenti sulla mia mappa.
Arrivo a Le Castella, famoso per il suo castello aragonese in mezzo al mare. Mentre entro in città vengo superato da una macchina tedesca, per cui capisco già che questo posto non fa per me. Dove ci sono troppi turisti non è un buon posto per passare la notte.
Faccio qualche foto e riparto in direzione Capo Rizzuto. Chiedo più e più volte per una strada sterrata per questa località, perché la statale a quest’ora di sera inizia ad essere troppo trafficata. La strada esiste, ma una frana ed un fiume la tagliano in due punti. Attraverso rispettivamente: un tratto di mare spingendo la bici, un campeggio, un campo arato e una proprietà con dei cani liberi finché non arrivo ad un casolare in mezzo ai campi. Il proprietario terriero del terreno che stavo bellamente attraversando mi dice che il fiume, nel tratto in cui dovrei attraversarlo, è abbastanza profondo.
Per cui, alla fine, dopo tutta sta fatica, mi faccio gli ultimi 2km sulla statale.

Arrivo a Capo Piccolo, il promontorio prima di Capo Rizzuto, che è già buio. Un signore lungo la strada mi dice che è più tranquillo per trascorrerci la notte.
Grazie alla mia stupidità, in spiaggia, riesco a rompere il cavalletto della bici. Degna conclusione di questa giornata un po’ così.

Faccio il bagno e mi addormento, sperando in una giornata migliore domani.

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