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Quel ramo del lago di Como

Da quando sono rientrato dal mio tour estivo sono alla ricerca di un modo per riassaporare quella vita. Una sorta di palliativo per sopravvivere alla giungla milanese. Mi rendo conto che, non potendo portare la bici a Milano per motivi di spazio, l’unica soluzione è quella di camminare. In montagna.

Finisco una riunione e nel primo pomeriggio sono a casa.
Giusto il tempo di trovare una zona dove poter piantare la tenda, grazie a Google Maps, e si parte: direzione Como Lago Nord. Da Milano poco più di un’ora in treno.

Intorno alle 18:30 sto passeggiando con uno zaino più grande di me su quel ramo del Lago di Como. No, non QUEL ramo del lago di Como. L’altro.
Con una funicolare d’altri tempi – degna compagna della vecchia funicolare di Mondovì – salgo fino alla località San Maurizio che ospita il Faro Voltiano. L’idea di campeggiare qui svanisce appena folate di aria gelida mi sferzano il viso.
Mi godo indisturbato uno splendido tramonto sul lago. C’è l’aliscafo che viaggia veloce sull’acqua, le auto di chi rientra a casa da lavoro e i turisti che camminano sul lungolago.
E poi ci sono io, che non ho un posto dove dormire.
Quando stavo per assaporare il gusto di una pasta senza tonno e senza pomodoro, arriva una signora ad interrompere i miei pensieri mangerecci.

Decido di cercarmi un posto tranquillo per la notte, e dopo un breve girovagare per il bosco trovo il posto che fa per me.
Due caprioli, che vedo all’ultimo istante, fuggono in lontananza al sopraggiungere del mio passo pesante.
Nonostante il tutorial della Decathlon durasse due minuti, perdo un po’ di tempo a capire come montare la tenda. Ne ho presa una più leggera, ottima per lo zaino. Dopo venti minuti buoni riesco comunque in questo maldestro tentativo.
Sulla cottura della pasta in montagna, devo ancora prendere il master. Non avendo il tonno – grave errore lasciarlo a casa! – ripiego sul mio mix di spezie fatto in casa. Come se avessi altra scelta.

Sfinito mi metto a letto con il vento, più intenso di prima, che continua a sferzare sulla tenda imperterrito. Sperando che regga, mi metto comodo per dormire.
Un’altra lezione che ho imparato, dopo quella sul tonno, è che il sacco a pelo estivo – a metà settembre, in montagna – non è propriamente adatto. Ovviamente anche dormire in mutande non lo è, per cui aggiro il problema vestendomi alle 4 di mattina e tornando a dormire.

La sveglia è puntata alle 6:20, ma tra lavare me, le stoviglie e smontare la tenda prima delle 8 non sono in marcia. Faccio approvvigionamento d’acqua e mi metto in cammino per quello che ho ribattezzato “il giro delle Baite”.
Dalla località di San Maurizio si sale fino alla Baita Carla. Lungo il percorso incontro un paio di camminatori, qualche ciclista e supero diverse baite, alcune con una vista mozzafiato sul lago. Anche i prezzi per mangiare sono da mozzare il fiato ma fortunatamente sono chiuse, per cui non sono minimamente tentato.
Superata anche la Baita Boletto arrivo ad una delle creste poco sotto la cima e noto della gente che cammina fuori dai classici sentieri. Sembrano alla ricerca di qualcosa e hanno con sé diversi cani da caccia. Più vado avanti più incontro cacciatori con i cani. Dopo diverse centinai di metri capisco finalmente il motivo di questo affollamento: è una zona dedicata all’addestramento dei cani da caccia. La stagione è alle porte e i padroni portano i cani ad addestrarsi nei boschi e sulle colline comasche.

Mi superano due ragazzi di corsa e, ad un bivio, incrocio un signore ben attrezzato a cui chiedo indicazioni. Mi dice che c’è un percorso più lungo per arrivare all’Alpe del Viceré, che passa dalla cima del Monte Bollettone a 1’287 metri s.l.m. Senza pensarci due volte imbocco quel sentiero ma vengo richiamato immediatamente dal signore che mi dice che il sentiero è più in basso. Gli urlo che opto per quello più lungo e lo saluto nuovamente.

Pochi istanti dopo sento il passo veloce di qualcuno alle mie spalle. E’ Paolo, il signore appena incrociato, che ha deciso di cambiare strada per salire anche lui in vetta. Non so se per pietà nei miei confronti o per senso di responsabilità, visto che mi ha indicato un tragitto più difficoltoso rispetto a quello che avrei fatto.
E’ in pensione da agosto e mi confida che lunedì partirà per il Cammino di Santiago con un biglietto di sola andata. Lo invidio parecchio, ma si fa presto perdonare facendomi da cicerone sul panorama circostante.
Mentre prendo nota di tutte le cime e i percorsi di questa zona continuiamo a salire, tra uno strappo e l’altro. Raggiungiamo la cima e veniamo raggiunti da un altro signore, amico di Paolo, che arriva correndo.

Saluto Paolo che prosegue verso un’altra vetta, ed inizio a scendere con l’ultimo arrivato a un’andatura nettamente più veloce. Non corre per stare al mio passo, ma mi costringe ad un buon ritmo. Anche lui, da buon camminatore in montagna, ha un sacco di percorsi da suggerirmi, per cui prendo ancora una volta appunti. Tra un consiglio e l’altro raggiungiamo l’Alpe del Viceré in meno di mezz’ora.
Mi racconta che una volta questa zona era un villaggio per le famiglie dei soldati in guerra e a supporto della sua tesi ci sono un paio di foto all’ingresso del parco che stiamo attraversando. Della borgata rimangono solo più un paio di costruzioni ristrutturate e il selciato d’altri tempi.

Involontariamente, trovo un passaggio per la stazione ferroviaria più vicina.
Nel bar di fronte alla minuscola stazione di Cantù, oltre al biglietto del treno, prendo un pezzo di focaccia per pranzo.
Avevo in mente di fare qualche chilometro in più, ma quel passaggio insperato mi ha risparmiato un bel pezzo di strada.

Dormo mezz’oretta sul treno mentre viaggio lentamente verso Milano. Per un attimo, ho ritrovato le stesse sensazioni provate durante il mio viaggio in bici.
Ho le gambe e la schiena doloranti, ma ne è valsa la pena.

Arrivo a casa e poggio lo zaino per terra.
Ma solo per pochi giorni, un altro giro mi aspetta. Un’altra vetta. Altre persone da incontrare lungo il mio cammino.

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