Non ho dormito un cazzo. Scusate il francesismo. José ha russato per tutta la notte. Anche con i tappi per le orecchie, non ho potuto fare a meno di sentire la dolce melodia di una motosega elettrica girare incessantemente per la stanza. Non vedo cos’altro possa fare una persona per meritare la santità. José è ancora vivo e sono due notti che non ci permette di dormire. E’ così che il Cammino di Santiago ti tempra; la mente e il fisico, perché ti voglio vedere a camminare dopo una notte insonne.
Lascio dormire ancora Jan Kees, nonostante fossi incaricato di suonare la sveglia per entrambi. Sono certo che nemmeno lui abbia dormito molto, avendolo sentito rigirarsi diverse volte durante la notte. Lo abbandono alle braccia di Morfeo ancora per qualche minuto mentre inizio a prepararmi lo zaino.
Due giorni sono più che sufficienti a darti il ritmo, la motivazione ed il coraggio per proseguire da solo. Faccio colazione con gli altri pellegrini, saluto José che è il primo a partire (senza rancore), finisco di sistemare le mie cose e saluto Jan Kees con un caloroso abbraccio. Prima di andarmene mi domanda se ho delle mollette per il bucato, ed è così che posso lasciargli quelle due mollette in più che mi ero portato, prevedendo questo momento prima ancora di partire.
Mi spiace lasciarlo, ma voglio provare a forzare un pò la tappa per vedere se riesco ad arrivare a L’Hôpital-Saint-Blaise. Jan Kees parte mezz’ora dopo di me, appena arrivano Charles e Catherine.
Piove e non sono certo di farcela ma sulla carta sono 36 chilometri. Mi dirigo quindi verso la via più breve, che fiancheggia la strada, ma è troppo trafficata. Proseguo allora sulla Departemental prima di riprendere il GR78 che in quanto a segnaletica non ha eguali. O così credevo finché non mi sono trovato la strada sbarrata da un un fiume in piena e poi da un campo arato.
E’ in questi momenti che rimpiango la presenza di Catherine, la capa spedizione nei giorni prima. Precisa e attenta, quando la segnaletica veniva meno lei aveva già la cartina in mano. E’ indubbiamente merito suo se non ci siamo mai persi nei giorni precedenti, e si è decisamente guadagnata l’etichetta di “capo”.
A 25 anni guidare un gruppo composto da un sessantacinquenne, un quarantenne e me, non è da tutti. Credetemi.
Sono le undici ed ho definitivamente abbandonato l’idea di forzare la tappa. La pioggia mi ha demotivato, l’acido lattico ha distrutto la poca resistenza mentale che stavo opponendo.
L’ultima parte di tragitto, nel sottobosco, nel fango, con un’umidità del 90% ed ovviamente sotto la pioggia non è per nulla semplice. Per farmi coraggio intono a voce alta e stonata “Bella ciao”, una canzone che abbiamo cantato spesso in questi giorni.
Sono fisicamente stanco, e mentalmente scarico. Mi consolo pensando che mancano solo più tredici chilometri alla fine della tappa.
Le tempistiche riportate sui segnali del percorso si abbassano ora dopo ora. Manca sempre meno, ma questo bosco non finisce mai. E’ da questa mattina che piove, e inizio ad essere un pò stufo anche della pioggia.
Penso ai miei compagni di viaggio che dovrebbero essere dietro di me. Spero che, grazie a Catherine, non abbiamo avuto problemi a trovare la deviazione che invece io ho saltato per sbaglio. E mi chiedo se quel enorme maremmano bianco che mi ha seguito per mezz’ora non abbia creato loro problemi.
Ogni tanto, quando percepisco dei rumori diversi dal solito, mi volto con la speranza di vederli sopraggiungere. Anche se in cuor mio so che potrebbero tranquillamente avermi superando prendendo qualche scorciatoia, che io non conosco dato che non ho lo straccio di una mappa.
Gli ultimi tre chilometri su strada sterrata li faccio trascinandomi di sola forza di volontà. Le gambe non rispondono ed i piedi fanno abbastanza male. Poteva andare peggio, ma decisamente la pioggia non mi ha aiutato.
Alle 14:10 sono a Oloron-Sainte-Marie e mi fermo a mangiare un pezzo di baguette sulla prima panchina disponibile. Ha da poco smesso di piovere, ed un angolo di quest’ultima è già più o meno asciutto.
Mi guardo intorno: sono all’estremità di una piazza e la vita scorre lenta e tranquilla. Mi piace poter assistere a queste scene, come una figura estranea, che non influisce sulla regolare prosecuzione della quotidianità. Come uno spettatore non pagante, di cui nessuno si cura.
I miei piedi, loro sì che hanno bisogno di cure. Con un ultimo sforzo, degno di un sollevatore di pesi massimi mi alzo ed isso lo zaino sulle spalle. Mi avvio zoppicando verso quello che spero sia un rifugio per i pellegrini, con la speranza di trovare ancora un letto libero. Sono le 14:30 e non me la sento di andare oltre.
Abituato oramai a rifugi per così dire “di fortuna”, quasi non credo ai miei occhi quando mi si para davanti una struttura recentemente rinnovata.
La signore all’accoglienza é indaffarata a seguire la pellegrina arrivata qualche minuto prima di me per cui, senza farmelo ripete due volte, mi siedo su una delle poltrone presenti nella hall.
Il tempo di togliermi i sandali che da fuori mi giungono all’orecchio delle voci famigliari!
Esco di corsa (per quanto possibile zoppicando) ed il primo che mi si para davanti é l’imponente gigante Jan Kees che quasi non sperava più di rivedermi. Ci sono tutti, ed al gruppo si è unita un’amica di Catherine che l’ha accompagnata solo per oggi. Loro rientrano a casa questa sera: le ferie per Catherine sono terminate.
Mentre aspettiamo di compilare le scartoffie dei pellegrini, usciamo a passo di lumaca per andare a berci un meritato rosee. Ci mettiamo circa dieci minuti per fare quindici metri, ed arrivare al bar sull’altro lato della strada rispetto all’ostello.
Ci appropriamo di due tavoli e tra una risata e l’altra mi raccontano che loro hanno fatto la strada asfaltata tutto il giorno perché, per via della pioggia, hanno saggiamente deciso di non percorrere il sentiero GR78. Speravano che io avessi fatto lo stesso, per poi rivelarmi che loro hanno seguito una strada più corta e meno trafficata di quella che avrei voluto fare io in partenza.
Tra una frecciatina e l’altra ai miei sandali ci scoliamo la seconda bottiglia di rosee, prima di deciderci di rientrare all’ostello ancora più barcollanti di quando siamo arrivati.
Questa volta ci salutiamo per davvero. Catherine rientra in autostop alla partenza della tappa odierna dove la sua amica ha lasciato l’auto. Io e Charles usciamo a fare la spesa per la colazione, mentre Jan Kees rimane a letto perché ha messo a lavare tutti i pantaloni che aveva disponibili.
Per cena recupero un pellegrino irlandese solitario e tutti insieme andiamo a mangiarci una bella pizza francese. Birra, pizza, rosee della casa e dopo cena sono talmente stanchi che prima della fine della partita di Champions ronfano già tutti allegramente..
Forse questa notte riuscirò a dormire..