Parto un pò prima del solito, i ragazzi li avevo avvisati. La prima ora, su strada asfaltata, tengo un media assurda: 6,5 km/h. Mai andato così forte.
Mi fermo a fare colazione dopo 10 chilometri a Villavante, il primo bar disponibile. Qui becco Marie che ha appena finito di fare colazione. La raggiungo dopo qualche chilometro, dove arrivo con una coppia hawaiana con la quale ho condiviso qualche passo.
Siamo di fronte ad un bivio, ovviamente non presente sulla mia guida. Fortunatamente però c’è il ragazzo americano che é stato male qualche mattina fa, che ha una guida aggiornatissima dalla quale deduco che il percorso migliore sia quello di destra. E’ più lungo, ma meno battuto dalle macchine per cui decido di prendere quello senza indugio. Marie pare dello stesso avviso e ci avviamo quindi insieme iniziando a scambiare due parole.
Si parla, come spesso accade sul Cammino, di religione, di famiglia e di vita privata in generale. Procediamo di passo molto spedito, praticamente mantenendo quasi il mio ritmo di questa mattina.
Ad un certo punto, lungo un sentiero, vediamo un chiosco pieno zeppo di frutta. Ci fermiamo un secondo all’ombra e in quel momento mi domando a voce alta come sia possibile che un luogo come questo possa sopravvivere con delle semplici donazioni.
Il ragazzo che se ne occupa sente la mia domanda ed inizia a raccontarmi che é da nove anni che vive lì, senza acqua né elettricità.
Mi racconta di un mondo utopistico in cui non ci sarebbe bisogno di polizia, sanità e giustizia se tutti fossimo buoni verso il prossimo. Mi chiede se uccidere un uomo nella nostra società é una cosa buona o cattiva. Me lo chiede tre volte e per tre volte rispondo che é una cosa cattiva. Mi dice che non ci fossero omicidi, la polizia non lavorerebbe, e la giustizia non esisterebbe. Mi racconta che se non ci fosse il cancro le case farmaceutiche non lavorerebbero. Ci penso un pò, ma non é che mi abbia convinto molto.
Proseguiamo ancora per i restanti chilometri, a passo spedito e arriviamo all’ingresso della città dove ci viene sbarrata la strada da una ferrovia ad un unico binario. L’attraversamento ferroviario, che avrebbe richiesto meno di quindici secondi, ci costa invece più di cinque minuti in quanto il sovrapassaggio, costruito anche per permettere il transito delle bici, é in realtà una serpentina lunga svariate centinaia di metri.
Ultima salita con una pendenza del 18% e finalmente siamo in ostello. Il tempo di lavare un paio di cose a mano, farmi una doccia, che vengo intercettato da un gruppo di italiani che dopo due parole mi offrono il pranzo in ostello. Insalata di noci, salame, vino e dolce della casa. Non mi fanno mancare nulla. In cambio elargisco consigli e tecniche di sicura efficacia per alleviare leggermente il dolore procurato dalle infiammazioni dei tendini.
Dopo pranzo ne approfitto per fare un giro in paese mentre aspetto l’arrivo di Stefano ed Emma che arrivano con due ore di ritardo.
Per cena decidiamo di cucinare io e Stefano, che si occupa del sugo mentre io seguo attentamente la cottura della pasta. Dopo aver abbondantemente sparlato della pessima cottura della pasta da parte degli spagnoli, questa volta non possiamo sbagliare. A tavola ci sono una ragazza olandese, Marie, oltre a noi tre.
Cuocere per cinque persone, quando sei a malapena abituato a salare l’acqua della pasta per una persona non é semplice, ma il risultato finale é soddisfacente. Merito anche del sugo di Stefano che con un soffritto di cipolla, del sugo e delle spezie accuratamente scelte da me, rende questa pasta chiaramente sopra la media di una qualsiasi pasta spagnola. I piatti vengono riempiti due volte; come contorno delle fragole con panna che ci vengono offerte da un gruppo di francesi. Una torta al cioccolato corona questa cena decisamente soddisfacente.