Per l’ultima sveglia che farò a Stefano ho scelto qualcosa di speciale. Una bottiglia d’acqua. Al momento di svegliarlo mi avvicino lentamente, svito il tappo della bottiglia ed inizio a rovesciargliela lentamente in faccia.
Si alza di colpo sputando l’acqua che gli era entrata in bocca ed esclamando: “Spero sia solo acqua!”
Iniziamo così il nostro ultimo giorno di cammino. Prepariamo gli zaini, scendiamo, e ci fermiamo come per consuetudine nel primo bar aperto per fare colazione. Non mangio nulla, non ho fame ed ho ancora degli avanzi di cibo dai giorni precedenti.
Ripartiamo spediti ed i totem che ogni qualche centinaio di metri ci indicano quanti chilometri restano per arrivare a Santiago ci mostrano via via sempre meno strada da percorrere. Procediamo veramente troppo in fretta, oppure sono semplicemente io che non ho nessuna voglia di arrivare.
La prima mezz’ora chiacchieriamo tranquillamente, ma quando mancano meno di 16 chilometri ognuno entra nei propri pensieri e ci limitiamo alle cose essenziali, a volte semplicemente con un gesto della testa o della mano.
Nessuno ha davvero voglia di parlare, Emma ha chiaramente intenzione di camminare da sola.
A quattro chilometri dalla città di Santiago siamo in cima al Monte Do Gouzo, da dove per la prima volta possiamo intravedere in lontananza le guglie della cattedrale. Inizialmente pensavo che avrei pianto una volta avvistata la chiesa, ma riesco a trattenermi. Dopo aver immaginato da moltissimo tempo questo momento, e con l’obiettivo così chiaro dinnanzi a me, proseguo ancora un pò senza cedere.
Mentre osserviamo malinconici la fine del nostro Cammino, arrivano un ragazzo messicano simpaticissimo conosciuto negli ultimi giorni, e Stefano (il ragazzo a cui ho ceduto il letto). Ci fermiamo quindi ancora un paio di minuti prima di ripartire solo noi tre in completo silenzio.
Arrivati all’ingresso di Santiago io e Stefano ci fermiamo per fare la foto di rito con il cartello della città, mentre Emma annuncia finalmente la sua intenzione di voler proseguire in solitaria fino alla cattedrale.
La trovo una decisone corretta, d’altronde ognuno é qua con le motivazioni più diverse. Se uno inizia il Cammino da solo, non vedo perché non possa arrivare davanti alla cattedrale da solo. E’ una sorta di coerenza con quanto iniziato, pur essendo consapevoli che non si è più la stessa persona che ha iniziato il viaggio.
Io invece sono davvero felice di arrivare a Santiago con Stefano, era una cosa che ci eravamo promessi e che voglio davvero fare. E’ come un fratello oramai per me, e mi piace l’idea di essere partito da solo e di arrivare con lui. Proseguiamo quindi io e lui, lasciando Emma indietro, ed iniziamo a districarci tra le viuzze della città. Oramai la quantità di gente é impressionante, tra turisti e persone del posto, ma la cosa non mi da più nessun fastidio. Alla fine ci abbiamo messo poco ad abituarci alla confusione delle grandi città, dopo aver attraversato dei posti come le Mesetas dove non si incontravano persone per quasi tutto il giorno.
Presto molta attenzione alle indicazioni del Cammino, non voglio rischiare di allungare il percorso a così pochi metri dalla fine. Il peso delle emozioni nel cuore si fa via via sempre più pesante, manca davvero poco. Superiamo con facilità i pochi zaini che si confondono con la folla, ed arriviamo finalmente in prossimità della cattedrale.
La posso scorgere sul fianco, in tutta la sua maestosità. Il punto di arrivo é proprio dietro l’angolo, sulla sinistra, mentre noi la costeggiamo in lunghezza. Entriamo sotto un portico, quello che annuncia l’ingresso su Praza do Obradoiro, la piazza dinnanzi alla cattedrale, ovvero ciò che ogni pellegrino identifica come punto di arrivo del suo Cammino.
Ciò che immagino da più di 38 giorni, forse dal momento in cui ho deciso di intraprendere questo viaggio meraviglioso. Questo momento l’ho immaginato migliaia di volte, l’ho sentito raccontare, ho provato a raccontarlo, l’ho visto ben nitido nella mia testa che mi sembra di averlo già vissuto. Ma non é così..
Passiamo dall’oscurità del portico alla luce della piazza. I miei occhi sono subito offuscati dalle lacrime, o semplicemente dal fatto che il cielo in questo momento é nuvoloso. Raggiungiamo il centro della piazza e ci abbracciamo, non si può fare altro in questo momento. Non ci sono parole o altri gesti per questo istante. Un lungo abbraccio prima di sederci per terra.
Mi tolgo le scarpe e da seduto raccolgo le ginocchia appoggiandoci sopra la testa. Piango, come speravo di fare da oramai moltissimo tempo. Semplicemente lascio che tutte le emozioni raccolte e provate in questo mese lunghissimo si sfoghino grazie alle mie lacrime. Lascio che la fatica, il dolore fisico, la tristezza, la malinconia di una fine, la gioia e l’euforia di essere arrivati, l’amore e l’odio provati durante il viaggio, l’imbarazzo e la presunzione raccolti negli ultimi giorni, la dolcezza di una carezza e la perentorietà di un ordine dato; lascio che tutti questi sentimenti mi abbandonino attraverso il gesto più naturale del mondo. Quello che ogni bambino fa appena nato. Il pianto.
A sto giro ripenso davvero a tutto, a tutte le persone che conosco ed ho conosciuto, ed anche a chi non c’è più. D’altronde, oltre che per me stesso, questo viaggio l’ho fatto anche per loro.
Non so se siamo rimasti mezz’ora o tre ore su quella piazza. Sicuramente siamo rimasti il tempo necessario per riflettere ed assimilare quanto avevamo fatto. 38 giorni di cammino, 965 chilometri percorsi a piedi. Una sciocchezza se ci penso adesso. Una passeggiata lunga un mese.
Dietro di me noto un signore con il quale abbiamo condiviso un paio di piacevoli serate. Mi alzo per salutarlo e si unisce a noi, sedendosi anche lui per terra al nostro fianco. Dopo aver incrociato e salutato con un caloroso abbraccio, un paio di pellegrini, sbuca Emma da non so quale parte, che annuncia con una smorfia che ha fame. Strano, pensiamo noi! Si siede anche lei, e continuiamo a contemplare la marea di gente che va e che viene su questa piazza enorme.
In questo lasso di tempo ho la possibilità di osservare con estrema attenzione quanto avviene su questa piazza immensa. Decine e decine di pellegrini arrivano alla spicciolata dopo di noi. C’é chi ride di gioia, chi piange, chi si abbraccia. Ci sono gruppi numerosi di ragazzi che cantano e ballano. Si fanno foto di gruppo, selfie, si chiede ad un passante se gentilmente può fare una foto. Ci si immortala con l’immancabile cattedrale alle spalle. E poi, come noi, diversi pellegrini si siedono principalmente ai lati della piazza, ad osservare, scrivere o chiamare a casa. Questa semplice piazza trasmette vita, gioia di vivere. Qui c’è tutta l’energia che si può avvertire sul Cammino, concentrata in un unico posto, in istanti, in una foto, in un video, in un momento che prima o poi finirà, ma non qui, non adesso.
Rientriamo in hotel a posare le nostre cose, prima di uscire per una birra e del meritato shopping. Dopo cena ci organizziamo con gli altri italiani e ci troviamo in piazza dove stanno suonando della musica tradizionale spagnola.
Emma, mantiene la promessa fatta a Rita, e si esibisce in uno splendido ballo di tip-tap sulle note della musica che si espande nell’aria. Quando inizia a ballare il nostro gruppo si ferma completamente ad osservarla, e per qualche momento si può chiaramente vedere come la danza sia parte di lei, mentre entra in un mondo tutto suo, del quale noi possiamo solo essere lontani spettatori.
Ci spostiamo in un locale tipico, dove tra sangria e cervesa, mangiamo ancora qualcosa come da tradizione spagnola. Il momento dei saluti é strano, fatto di lunghi abbracci e pacche sulla schiena. Ci si saluta tutti con l’augurio di rivedersi, e sembra davvero che ciò sia molto probabile. Pare impossibile che dopo essersi ritrovati a migliaia di chilometri di distanza, non ci si possa rivedere sul territorio nazionale.
I pochi temerari, tra cui il sottoscritto, Stefano, Emma e Corrina fanno ancora un salto in un locale che spara musica a tutto volume dove terminiamo la serata con chupito e gin tonic.
Domani la sveglia, puntata alle 4:15, sancirà la fine di questo percorso. Per ora, mi godo l’ultima passeggiata prima di tornare in hotel..