IL TRAGHETTO PER LA SARDEGNA
Mi sveglia una zanzara fastidiosa alle quattro e quattordici. Provo a chiudere nuovamente occhio per un po’ ma vengo colto da improvvisi e profondi crampi di fame. Alle cinque e zero uno mi sto preparando una piadina per colazione. Alle cinque e zero sei sto già mangiando la seconda. Inizia così la mia prima giornata in sella.
Alle sei e trenta i bagagli sono pronti, ma tra il caricare la bici e salutare i miei genitori non riesco a partire prima delle otto.
A Vicoforte, dopo sette chilometri, imparo la prima lezione di oggi: mai agganciare le scarpe ai pedali se sei ancora fermo. Infatti con un piede bloccato, ed in equilibrio precario mi adagio lentamente su un fianco. Le borse laterali della bici attutiscono fortunatamente l’impatto ma perdo un paio di minuti per sbloccare il piede, ancora agganciato al pedale, e sotto il peso della bici.
La giornata è fresca grazie alle piogge di ieri, e pedalo agilmente sino a Ceva. La salita che ne segue è la mia bestia nera da quando ho iniziato a mettere i piedi sulla bici. Arrivo in cima a Montezemolo (754 metri s.l.m) che sto ansimando, senza fiato.
Durante la salita, un capriolo bruca l’erba a lato della strada, e appena mi sente arrivare alza la testa per fissare ogni mia mossa, senza distogliere mai lo sguardo finché non mi allontano a distanza di sicurezza.
Poco prima di arrivare in cima, mi accorgo che il cambio anteriore ha qualche problema. Mi fermo per riposare un attimo e ne approfitto per dargli una bella occhiata.
ORRORE!
La guaina davanti al manubrio è completamente rovinata ed il filo metallico del cambio esce in una posizione non corretta. Provo a sistemarlo mettendoci mano, in maniera da bloccarlo sulla corona centrale, ma sono conscio del fatto che questo problema deve essere risolto oggi, o al più tardi nella giornata di domani ad Olbia. Viaggiare senza la possibilità di cambiare, in zone dove non conosco il dislivello, non é di certo raccomandabile.
Poco prima di Altare vengo superato da due ragazzi con la bici da corsa. Nella prima rotonda, sotto ai miei occhi, il ragazzo davanti piega e scivola lentamente a lato. Il ragazzo dietro lo schiva per un pelo e fortunatamente le macchine che seguono stavano andando veramente piano. Mi fermo per sincerarmi delle condizioni, fortunatamente nemmeno una escoriazione e la bici sembra a posto. Li saluto e riprendo a pedalare cercando di scovare una ciclofficina lungo il percorso.
Alla fine del paese, vedo per puro caso un ciclista aperto. Mi fermo per chiedere se avesse tempo di dare un’occhiata al mezzo, ma mi fa subito capire che ha troppe lavorazioni e che non potrà occuparsi della mia bici. Esce comunque a dare un’occhiata e subito mi conferma quanto già avevo ipotizzato: filo e guaina del cambio da sostituire. Colpa mia che non l’avevo fatto presente al momento del check-up pre-partenza. Mi sistema il cambio davanti sul rapporto più agile per affrontare l’ultima salita della giornata.
Riparto con tranquillità, ed inizio a cercare un posto a Savona dove poter portare la bici a sistemare. Viaggio con buona parte degli attrezzi necessari: purtroppo però il filo del cambio ancora non rientra nell’equipaggiamento fondamentale per questo tipo di viaggio.
A Savona però tutte le ciclofficine sono chiuse di lunedì, quindi dopo una frugale pausa pranzo riparto.
Alle tre del pomeriggio arrivo nei pressi di Varazze, e vedo che un ciclista sul mio tragitto, dovrebbe aprire nel giro di trenta minuti. E’ VBike di Cogoleto e quando arrivo in tempo per la riapertura pomeridiana ci sono già tre persone in coda davanti a me.
Arrivato il mio turno, spiego brevemente la mia situazione ed in un men che non si dica la mia “Xena” é già sotto ai ferri.
In meno di mezz’ora il ragazzo mi sostituisce i pezzi difettosi, sistema la batteria di una e-bike ad una signora e riesce pure a consegnare un cerchione nuovo.
A sistemazione ultimata, spendo ancora qualche minuto a parlare con i ragazzi del negozio, che di tanto in tanto bazzicano le montagne del cuneese con la bici.
Sono in perfetto orario per l’imbarco del traghetto, e nonostante sia sempre riuscito a schivare la pioggia, il cielo coperto mi permette di pedalare anche in orario pomeridiano.
Arrivo alle porte di Genova e realizzo che nulla é cambiato dall’ultima volta in cui ci sono passato in bicicletta. La strada lungomare è intasata di macchine ed io, come i motorini, sono costretto a lunghe gimcane per proseguire la corsa.
Mi fermo a cinque chilometri dal porto, convinto di essere praticamente arrivato, ma senza aver fatto i conti con il meteo. Improvvisamente inizia a tuonare e la pioggia dapprima leggera, ora inizia a scendere copiosamente. Avevo appena finito di scrivere ai miei che fortunatamente non avevo preso acqua.
Mi fermo al riparo di un terrazzo per tirare fuori il k-way, e riprendo a pedalare, facendo attenzione alle buche nascoste sotto le pozzanghere ed a non scivolare in curva.
Sfruttando il riparo di qualche porticato, arrivo di fronte all’imbarco dei traghetti, ed aspettando l’orario migliore per imbarcarmi mi divoro l’ultimo pezzo di pizza che mia mamma mi ha rifilato questa mattina prima di partire. Due pezzi di cioccolato, ed eccomi pronto per salire sul traghetto.
Sopraggiungono alle mie spalle altri due ciclisti in assetto da viaggio. Nell’attesa degli ascensori, chiedo loro da dove vengono, scoprendo così che sono appena arrivati in treno dalla Svizzera, e che condividiamo lo stesso itinerario per i primi cinque o sei giorni in Sardegna.
Loro hanno la cabina, ma abbiamo le bici legate insieme, per cui sono certo di rivederli l’indomani alla partenza.
Salgo alla ricerca di un posto appartato per riposare qualche ora, e lo trovo per fortuna in un angolo della nave, vicino al bagno ed al ponte. Non potevo chiedere di meglio. Mi preparo il giaciglio della notte sperando di riuscire a dormire per un po’.