Mi sveglio come al solito presto, ma tra lo smontare il campo e preparare la bici non parto prima delle 8:30. Da Palau, seguendo una medio trafficata SS133bis arrivo poco prima di Santa Teresa Gallura, dove mi fermo davanti ad una delle innumerevoli case ANAS abbandonate a verificare la giusta direzione. In lontananza vedo arrivare due cicloviaggiatori e subito penso alla coppia Svizzera. Quando mi superano e salutano con un “ciao” in perfetto accento italiano intuisco fossero la coppia intravista il giorno prima in cima al punto panoramico di Palau.
Proseguo tenendoli a distanza d’occhio: il ginocchio destro mi duole e li sfrutto per farmi trainare un po’. Siamo come una molla: li raggiungo e poi nelle salite loro mi staccano nuovamente, perché io non riesco a forzare sui pedali. Così per qualche chilometro finché loro non si fermano per sistemare qualcosa alla bici di lei ed io li supero distaccandoli.
Poco prima di Santa Teresa Gallura sosto qualche minuto per verificare nuovamente la direzione e bere, all’ombra di un grosso albero. Nel frattempo la coppia italiana mi raggiunge e mi supera ancora. Nel frattempo scopro che, per mia sfortuna, la città è tutta sviluppata in cima ad una ripida collina. Seguendo il primo percorso scelto puramente a caso arrivo in cima sudando sette camicie.
Qui re-incontro la coppia e ci fermiamo a parlare per qualche minuto a debita distanza di sicurezza. Loro sono di stanza Palau e girano il nord dell’isola con delle bici a noleggio.
Faccio un giro veloce per la cittadina, molto movimentata e giovanile, e mi fermo a prendere due pezzi di focaccia in una panetteria del centro.
Riparto in direzione Capo Testa, seguendo le indicazioni di Google Maps per i pedoni. Non vedo la deviazione, per cui torno indietro di un centinaio di metri. Scopro così che la deviazione non l’avevo vista perché la strada suggeritami è definitivamente una strada secondaria: inizia asfaltata e finisce dopo pochi metri, per diventare sabbia.
Mi ritrovo così, a spingere Xena di braccia, ma per poco meno di un chilometro. Lo faccio volentieri per lasciare riposare un pochino il ginocchio destro che mi duole costantemente.
Per arrivare a Capo Testa mi tocca salire ancora una volta, e subito dopo scendere rapidamente. Forzo davvero molto sulle gambe e dopo aver terminato il giro del promontorio, con relative foto, sono davvero distrutto. Per evitare di tornare indietro a Santa Teresa su strada asfaltata, decido nuovamente di ripassare per la via sterrata, spingendo nuovamente la bici a mano.
Dopo quattordici chilometri sotto un sole infuocato sono con il morale un pò a terra per via del dolore al ginocchio e decido di fermarmi a Rena Majore, in spiaggia, per far riposare un po’ le gambe.
La sosta dura fin troppo, credo oltre due ore. La temperatura è paradisiaca, la brezza leggera non fa soffrire il caldo e il mare è di un blu cristallino tipico delle splendide acque sarde.
Riparto svogliatamente, con poca acqua, ed arrivo dopo dieci chilometri, e quasi un’ora di bici, in Località Vignola senza incontrare anima viva, ne tantomeno fontane d’acqua.
Mi tocca così fermarmi nell’unico bar lungo la strada per comprare dell’acqua. Da qui in avanti non sono certo di riuscire a trovare alti posti in cui fare approvvigionamento.
La ragazza dietro al bancone è di una gentilezza squisita, infatti dopo aver riempito tutte le mie borracce non si fa nemmeno chiedere per riavere indietro i vuoti delle bottiglie di plastica. Qui badano molto alla differenziata e per me sarebbe stato un peso inutile.
Parlando con i ragazzi italiani questa mattina, avevamo ipotizzato che Castelsardo non sarebbe dovuto essere una metà troppo difficile da raggiungere a riguardo del dislivello. Sulla carta.
Nella pratica ho smesso di contare le innumerevoli volte in cui i sali e scendi si sono susseguiti.
Per un istante durato una manciata di secondi il paesaggio favoloso che mi ritrovo davanti mi fa completamente dimenticare dei dolori fisici alle gambe. Ma dura davvero poco.
Mi fermo in un punto vendita di prodotti locali per fare incetta di pecorino, salame e pane carasau. Almeno se farò tardi, non dovrò cucinare per questa sera.
Per un errata lettura della mappa, mi ritrovo a pensare che quello che sto affrontando sia l’ultima salita, quando scopro amaramente una volta arrivato in cima, che me ne aspetta ancora almeno un’altra.
Intorno alle otto di sera tolgo gli occhiali da sole, guadagnando ancora qualche minuto di luce. Già da qualche tempo comunque viaggio con le luci anteriori e posteriori accese. Il traffico infatti si è fatto un po’ più sostenuto per i villeggianti che ritornano a casa oppure escono per cena. Mi fermo all’inizio dell’ennesima salita. Sono stanco, assonato, mi dolgono entrambe le gambe e tra poco sarà buio.
Controllo ancora una volta la mappa in cerca di un posto in cui possa buttarmi per terra a riposare qualche ora. Di campeggi nelle vicinanze nemmeno l’ombra, Castelsardo è irraggiungibile oramai da diverse ore, non mi resta che ripiegare sulla cittadina di Badesi, la prima sul mare lungo la mia strada.
Questa è l’ultima salita. Questa è l’ultima salita continuo a ripetermi nella mia testa mentre seguo pedissequamente la luce bianca proiettata per terra dal fanalino. Sono stanco, ed un passo falso in questi momenti potrebbe costarmi caro. Non posso rischiare di non vedere una buca disconnessa del terreno e rischiare di cadere.
Arrivo in cima. Non mi resta che scendere ed andare a vedere se l’angolo di spiaggia individuato tramite Google Maps sia un buon posto per bivaccare qualche ora.
Scendo in piedi sui pedali, oramai le macchine non possono più superarmi in quanto viaggio comunque a velocità sostenuta. Alla prima rotonda dovrei andare a destra ma mi fermo poco prima per verificare sul telefono. Non voglio sbagliare strada proprio ora.
Arrivo finalmente in spiaggia al termine di una lunga discesa. Per un solo istante penso che domattina mi toccherà sudare per risalire. Persiste nella mia testa il tempo strettamente necessario per pensarlo. Sarà un problema di domani. Mal che vada spingo la bici. Ora voglio solo mangiare e mettermi a dormire.
In spiaggia c’è ancora una famiglia ed una coppia. Mi fermo sul lungo mare a mangiare, aspettando che si allontanino. La coppia sembra volere restare a dormire, per cui stanco ed assonato decido che correrò il rischio di far vedere la mia posizione, ma inizio a muovermi dietro una casupola di legno lungo la spiaggia, appartandomi per la notte.
Butto a terra nell’ordine l’asciugamano, il materassino ed il sacco a pelo. Il campeggio libero in tutta la Sardegna è vietato, per cui nel malaugurato caso in cui le forze dell’ordine dovessero scoprirmi, confido nella clemenza della corte per evitarmi la multa. Alla fine il mio non è un campeggio nel vero senso del termine, ma piuttosto un bivacco notturno, cioè la sosta dal tramonto all’alba, necessaria al riposo.
Scrivo a casa, sistemo le ultime cose e mi chiudo a sarcofago nel sacco a pelo. Buonanotte…