Sveglia alle cinque e quaranta, e per evitare qualsiasi tipo di problema inizio lentamente ad impacchettare tutto e a preparare la bici. Nel frattempo ne approfitto per un timelapse all’alba piazzando la GoPro in riva al mare.
La giornata si preannuncia splendida, riparto in sella e vedo che il mio amico camperista se nè già andato. I restanti sei chilometri che mi separano da Stintino sono tutti di pista ciclabile nuova di pacca. Una meraviglia!
Mi fermo in un bar sul porto per colazione, termino il giro del centro storico e riparto in direzione di Alghero. Ritorno indietro sui miei passi sino a Pozzo San Nicola, dove questa volta giro a destra in direzione Biancareddu.
La strada é poco trafficata ma è una vecchia strada provinciale un pò stretta. Ad un certo punto, nel superarmi, dalla ruota di una macchia parte un sasso delle dimensioni di una noce, che finisce dritto dritto sul mio ginocchio in procinto di pedalare. Un ululo di dolore esce dalla mia bocca mentre con l’ultimo spiraglio di lucidità freno ed accosto la bici.
Con le lacrime agli occhi faccio capolino con la testa per scoprire che un piccolo rivolo di sangue sta scorrendo giù per la mia gamba.
Sciacquo abbondantemente con l’acqua e poco dopo quello che, dal dolore, sembrava chissà che cosa, è solo più un bozzo che sta già cicatrizzandosi.
Riprendo a pedalare lentamente, pensando che con tutte le direzioni che quella pietra poteva prendere ha scelto bene di cilindrare in pieno il mio ginocchio che stava compiendo il solito movimento della pedalata. Una precisione chirurgica, sull’unico ginocchio che ancora non mi faceva male.
Mentre mi lascio andare a questi pensieri filosofico-scientifici, mi cade distrattamente l’occhio su un oggetto marrone, che ha tutte le sembianze di un portafoglio, a lato della strada.
– Eureka!! Mi sono ripagato la vacanza!
Penso subito. Nell’attimo seguente già mi sento in colpa. Scendo dalla bici e torno indietro di due passi per raccoglierlo. Lo apro velocemente per scoprire che dentro, oltre che non esserci soldi, c’è una patente di guida di una ragazza tedesca.
Sono nel mezzo di un lungo rettilineo soleggiato, alle dieci e trenta del mattino ed inizia già a fare caldo. Mi rimetto in sella per spostarmi più avanti, alla ricerca di un posto ombreggiato dove effettuare le ricerche sulla donna.
Mi fermo nuovamente a lato della strada all’ombra di un albero, e malauguratamente scopro che all’interno del portafogli ci sono anche due passaporti per i minori: i due figli della ragazza. Non ho molte alternative, devo riconsegnare il portafoglio alle forze dell’ordine.
Fortuna vuole che proprio sulla mia strada, dieci chilometri più avanti, ci sia una stazione dei carabinieri.
Sulla porta della caserma trovo il biglietto:
– Se nessuno risponde, chiamate il 112
Andiamo bene penso. Non è questo il caso però, infatti poco dopo un uomo alto e pelato in divisa mi apre il portone.
– Posso portare dentro la bici? – chiedo.
– La appoggi pure lì, qui non tocca niente nessuno – mi risponde indicando il muro esterno.
Indossata la mascherina entro e consegno il portafoglio. L’ufficiale subito lo svuota per rinvenirne tutto il contenuto. A scrivere il lungo elenco di cose contenute nel portafoglio di una donna ci mettiamo all’incirca mezz’ora. Alla fine mi ringrazia dicendomi che i documenti li manderanno dritti dritti all’ambasciata tedesca. Spero che possano servire ancora a qualcosa, penso tra me e me. Quel portafoglio aveva preso un pò d’acqua per cui era là fuori da un po’ di tempo, chissà che la ragazza non se li sia già fatti rifare.
Esco leggermente più sollevato , ma il prossimo paese dista sedici chilometri, sono le undici e trenta passate ed io ho finito l’acqua. Faccio un giro per il paese e scopro una bella chiesa bianca. Senza fontane. Di fronte c’è un signore che ha una gomma dell’acqua srotolata sul marciapiede, a perdo per ben due volte l’attimo giusto per chiedergliela.
Passo davanti così all’unico bar del paese e chiedo per due bottiglioni di acqua. Ne esco con un timbro per la credenziale e acqua a sufficienza per finire la giornata. La ragazza dietro al bancone ha un entusiasmo contagioso ed involontariamente mi da la forza per continuare a pedalare sotto un sole cocente.
Da questo paese in mezzo al nulla, fino al campeggio suggeritomi dal ragazzo di Sassari, mi divide una bella salita, e due lunghi rettilinei poco trafficati perché ora di pranzo.
In uno dei due rettilinei incrocio una bancarella che vede frutta, ma non c’è nessuno dietro al bancone. Aspetto un paio di minuti e sto per ripartire quando un omone arriva da dietro la tettoia. Gli chiedo per un po’ di frutta ed ottengo in risposta un cenno con la testa e:
– Ileniaaaa!!!! C’è genteeee!! – urlato a squarciagola.
Devo dire che non me l’aspettavo.
Mi prendo due banane e sei pesche (squisite) che termino di mangiare pochi chilometri dopo, nei pressi dell’aeroporto di Alghero.
Poco prima del campeggio, supero ancora la piccola cittadina di Fertilia, una notevole cittadina all’apparenza benestante, con i suoi macchinoni nei lungo viali e le villette con accesso privato sulla spiaggia. Un po’ in contrasto con i paesi rurali attraversati sin’ora.
Arrivo al campeggio relativamente presto, mi preparo un pasta al volo subito dopo aver preparato il campo e montato la tenda con la solita dovizia.
Non mi resta che buttarmi a capofitto in spiaggia e subito dopo in mare. Quando il sole comincia a calare rientro al campeggio e mi fermo a scrivere per aggiornare il blog sorseggiando la solita Ichnusa grande.
Nel campeggio i più giovani restano svegli sino a tardi, ma il silenzio viene correttamente rispettato dalle ventitré in avanti.