Alle cinque e quaranta il mio biorologio mi sveglia, ma la reception prima delle otto non apre per cui ho tutto il tempo di prepararmi.
Smontato il campo verso le otto ed un quarto mi dirigo a fare completo rifornimento di acqua ed una signora inizia a chiedermi da dove venissi e dove fossi diretto. Scopro così che é belga, e anche lei sta facendo il giro dell’isola in minivan. Qualche anno fa aveva viaggiato insieme al marito in bicicletta in Europa ed in Italia, e prima del Covid si trovavano in Sicilia per un lungo giro nel nostro paese. Dalla Sicilia si sono poi spostati in Sardegna dove sono rimasti sorpresi e bloccati per tutto il periodo del lockdown. Attualmente, non hanno ancora deciso quando sarebbero rientrati. La situazione in Belgio non è cambiata molto ed il loro piano prevedeva di proseguire il viaggio in Francia e Spagna ma al momento la pandemia non accenna a migliorare. Per questo motivo continueranno a muoversi lentamente di campeggio in campeggio scoprendo la Sardegna in maniera davvero meticolosa.
Esco dal camping che sono le otto e quarantacinque e percorro gli ultimi quattro chilometri per arrivare nel centro di Alghero. Visito la splendida cittadina con le sue mura fortificate e giro un po’ per le viuzze del centro storico. Quando esco dalla città ho già percorso otto chilometri.
Qualche chilometro più tardi inizio la salita che mi porterà a superare Bosa, Tresnuraghes per poi giungere ad Oristano.
Salita è quasi infermale, lunga, sotto il sole ed in alcuni punti con una percentuale di pendenza abbastanza alta. Mentre sono in piedi sui pedali un camperista, che sopraggiunge in direzione opposta alla mia, mi fa un cenno di incoraggiamento strombazzando.
Incrocio una coppia di ciclisti in bici da corsa, e circa un’ora dopo li rivedo nello specchietto retrovisore in procinto di raggiungermi. Ne approfitto per riposarmi qualche istante e mi fermo per bere e farmi superare. Appena mi passano mi rimetto in sella e cerco di stargli dietro, per farmi tirare un po’.
Spariscono dietro un tornante, e quando lo supero scopro con dispiacere che anche loro si sono fermati per riposarsi all’ombra di un albero. In quel momento un altro ciclista sopraggiunge in direzione opposta e ci comunica che siamo quasi alla fine.
Incoraggiato da questa affermazione, proseguo salutando nuovamente la coppia ferma ed arrivo in cima, stanco ma soddisfatto. Sono all’incirca venti chilometri che spingo in salita, sono davvero felice sia finita. Non vedo l’ora di lanciarmi giù per i prossimi sedici chilometri di discesa.
Mi godo al massimo questo lungo tratto in discesa, senza pedalare minimamente. Mi fermo verso la fine, e vengo superato per l’ultima volta dalla coppia di ragazzi, chiaramente stranieri dall’accento, con le bici da corsa. Pochi chilometri dopo li ritrovo seduti sulla loro macchina nell’intento di smontare le bici per rientrare, e la ragazza alza un braccio dal finestrino in segno di incoraggiamento e saluto! Gli urlo i miei complimenti sfrecciandogli a fianco, felice di aver condiviso con loro le fatiche e la gioia di questo lungo tratto di strada.
Arrivo al centro di Bosa e mi fermo alla prima fontana che trovo. Sono a corto di acqua ed ho la necessità di fare rifornimento.
Seduti all’ombra della panchina notto una coppia con una bici da viaggio. Il ragazzo nel vedermi esclama:
– Guarda chi c’è!?!
Sono Stefano, un ultra maratoneta, e Claudia la sua compagna. Lui sta correndo una media di settanta chilometri al giorno, mentre Claudia lo accompagna in bici trasportando tutto l’equipaggiamento necessario al campeggio, ed il vestiario.
Mi comunicano che l’acqua della zona non è buonissima, ed effettivamente ha un forte restrogusto di cloro.
Mi chiedono se ho voglia di accompagnarli, siccome stiamo andando nella stessa direzione, ed accetto senza farmelo ripetere due volte.
Mangio velocemente qualcosa al volo, mentre Stefano ne approfitta per farsi un bagno. Ripartiamo, ed alla prima salita all’uscita del paese Stefano mi saluta con un:
– Ci vediamo in cima!
Effettivamente corre ad una media molto costante, tra i dieci ed i dodici chilometri orari, soglia con le quali non posso minimamente competere in salite un po’ più ripide.
Proseguiamo così, alternando diversi saliscendi, per circa quaranta chilometri. In salita Stefano ci supera quasi sempre, mentre noi recuperiamo in discesa ed in pianura. Di tanto in tanto Claudia si attarda per procedere al ritmo di Stefano e tenergli compagnia, soprattutto nei tratti pianeggianti.
Appena mi aveva detto che stava facendo questo tratto di corsa, gli avevo detto che era pazzo. Ma dopo tutti questi chilometri, corsi ad un ritmo costante, e dopo aver visto la determinazione nei suoi occhi durante la corsa, capisco che in fondo non è così.
O meglio: bisogna avere un po’ di pazzia per decidere di affrontare un percorso come questo, correndo per circa settanta chilometri al giorno. Però comprendo lo stia facendo con cognizione di causa, seguendo un allenamento costate ed una dieta controllata. Un ultra maratoneta di tutto rispetto, preciso, determinato e concentrato sul prossimo obiettivo. Questa è l’impressione che ho avuto, e con questi occhi l’ho salutato dandogli il pugno, prima di vederlo riprendere a correre in direzione opposta alla mia.
Arrivo all’arco sul mare di S’Archittu, dove alcuni ragazzi si tuffano di sotto, dandosi il cambio come osservatori per verificare che nessuno stia transitando in barca oppure in kayak, al di sotto dell’arco. Faccio qualche foto e riparto; c’è una spiaggia ventisette chilometri più avanti, dove vorrei fermarmi a dormire in quanto suggeritami dal mio amico camperista incontrato il giorno prima. La zona si chiama Is Arutas, ed ha la peculiarità di avere dei chicchi di quarzo colorati sulla spiaggia di sabbia finissima.
Il camperista inoltre mi aveva suggerito di sostare presso uno degli agricampeggi presenti sulla spiaggia, per cui non vedo l’ora di arrivare per farmi una meritata doccia ristoratrice.
Sono circa le sette e mancano poco più di dieci chilometri alla meta. Sono su una strada statale, in questo momento ad alta frequentazione. Non mi sento a mio agio, per cui scelgo di optare per una strada secondaria suggeritami da Google Maps. Verifico attentamente dal satellite che sia per lo meno sterrata, e dopo una verifica sommaria decido di prendere questa deviazione che sulla carta dovrebbe essere più corta e decisamente poco trafficata.
Le prime centinai di metri scorrono piacevolmente finché non incontro la prima deviazione che, da una strada asfaltata, mi porta ad una sterrata.
Mi fermo un attimo ad osservare nuovamente la strada dal satellite, e parrebbe sterrata fino al prossimo incrocio con un’altra statale.
Entro in quest’ultima, e tristemente scopro che diventa una strada di sabbia. Non sembra molto lunga, e decido per cui di spingere la bici a mano sino alla prossima intersezione.
Il sole comincia a tramontare, ed accendo le luci della bici prima, e del frontalino che mi metto in testa poi. Spingo la bici per sei chilometri finché non raggiungo una zona con un sedimento più duro e posso finalmente tornare in sella. E’ buio, sono stanco morto e sono più che sicuro di non riuscire a raggiungere il campeggio ad un orario accettabile. Esco finalmente sulla strada statale che avevo visto su Google Maps e noto con estremo dispiacere che numerose macchine mi frecciano davanti in entrambe le direzioni, impedendomi di fatto di immetttermi sulla strada.
Ricontrollo Maps, non ho alternative se non quella di attraversare la statale e continuare su una strada secondaria sterrata. Non ho più le forze per spingere la bici, non voglio correre il rischio. E non me la sento di pedalare al buio su questa statale così trafficata.
Decido così di attraversare la statale e fermarmi nel primo spiazzo disponibile, nonostante da alcuni minuti stia sentendo spari tutto intorno a me. Devo essere finito all’interno di una riserva di caccia.