Mi sveglio presto come sempre ed inizio a ritirare tutto, senza lasciare traccia del mio passaggio. Appena il sole sorge, ne approfitto per fare qualche ripresa alla Torre, baciata dai primi tiepidi raggi.
La giornata di oggi prevede due lunghe salite, e relative discese. Spero di farcela. Le gambe non si sono riposate abbastanza e dopo poco iniziano già a farsi sentire.
Il primo tratto è una salita quasi in solitaria, poche macchine passano da questa parti il che la rende una delle zone più belle da pedalare.
Scopro degli anfratti in cui il tempo si è quasi fermato e l’unica attività presente è la pesca. Arrivo in cima e mi soffermo ad ammirare il panorama. Una vegetazione bassa e brulla arriva sin dove incomincia il mare. Solo il suono delle campanelle delle pecore si sentono in lontananza, portato dalle folate del vento.
Inizio la discesa e l’asfalto finisce.
– Ci risiamo! – penso subito io. Controllo accuratamente Google Maps dalla vista satellitare, ed altre strada non ce ne sono. Dovrei tornare indietro per moltissimi chilometri. Ecco spiegato il motivo di questa bassa affluenza di autovetture.
La discesa è comunque piacevole, su di una strada sterrata compatta e facile da pedalare. Arrivo in fondo ed un fiumiciattolo mi taglia la strada. Vedo che le auto passano con disinvoltura, e mentre mi fermo per mettere a bagno i miei tendini nell’acqua ghiacciata, anche furgoncini e camper attraversano il guado. Gli automobilisti sono i più timorosi, si fermano, scendono dall’auto a controllare. Alcuni tornano indietro non fidandosi.
Ne approfitto per fare anche qualche foto, l’acqua prima del guado è rossa, credo grazie alla terra rossa che compone i suoi argini.
Una signora scesa dall’auto per fare qualche foto con la figlia, mi comunica senza che glielo chiedessi che non ci si può bagnare perché l’acqua viene giù dalle miniere.
Oramai è tropo tardi, penso tra me e me, e continuo a starmene con i piedi a mollo. Di certo non l’avrei presa per bere, di quello poteva starne certa.
Intravedo in lontananza le dune di Piscinas, impossibile non notarle perché in mezzo ad una radura completamente verde, nella quale spiccano queste montagne di sabbia chiara, che quasi brillano sotto il sole caldo di oggi.
Riprendo a salire dopo il guardo, sempre su un bello sterrato, ed una volta disceso nuovamente riaffronto un secondo guado ancora più profondo del primo. A questo punto sono praticamente senza acqua, ma so che poco più avanti c’è un campeggio, presso il quale dovrebbe esserci una fontana.
Giungo all’ingresso del campeggio e della fontana nemmeno l’ombra. Non ho proprio più acqua per cui non mi resta che salire, spingendo la bici, fin dove c’è la reception e chiedere se posso prendere un pò acqua dalle fontane presenti lì davanti.
Non mi fanno storie, e finisco per parlare con la titolare delle problematiche della zona, la mancanza dei servizi, e non solo. Qui scopro che le miniere della zona estraevano piombo, zinco ed argento ma sono oramai in disuso dal 1968. Oltre l’acqua, esco con un bel timbro sulla credenziale. Anche questo posto è stato sdoganato.
Alla fine della strada sterrata, incontro i primi resti di una miniera abbandonata, è quella di Naracauli, e nonostante la recinzione intorno, – grazie a un paio di varchi nella rete – alcuni turisti sono in procinto di fare foto e selfie all’interno dello stabile diroccato.
Dall’esterno posso notare quelli che sembrano lunghi tunnel che entrano nel cuore della montagna, i quali diventano subito neri come la pece dopo pochi metri.
Rimetto i piedi sui pedali, e dopo poche centinaia di metri, un rumore strano, proveniente dal bosco, mi insospettisce. Subito non ci faccio caso, ma dopo poco si fa più vicino, e decido di fermarmi. E’ un misto tra un ruggito ed un barrito, e non capendo a che tipo di animale potesse appartenente, giro la bici, pronto a sfruttare la discesa alle mie spalle.
Una macchina sopraggiunge da quella direzione, e la fermo per chiedere se ci fossero degli animali presenti sulla strada. Il ragazzo alla guida mi tranquillizza, il bramito potrebbe essere quello dei cervi , frequente in Sardegna a fine estate.
Riprendo a salire, guardingo, su entrambi i lati della strada. Ma nulla accade e dopo qualche chilometro non faccio più caso all’accaduto.
Continuo la salita, ed il primo paese, anche’esso abbandonato, che incontro è Ingurtosu.
Nel 2011 (fonte Wikipedia) contava nove abitanti, ma negli anni sessanta era arrivato ad ospitare quasi cinquemila persone. Qui sorgeva infatti il centro direzionale delle miniere più importanti della Sardegna: quella di Gennamari, di Ingurtosu e di Montevecchio.
N.D: l’acqua del primo guado attraversato, arrivava proprio da Montevecchio.
Continuando a salire, in una curva della strada, supero anche un ospedale dalle dimensioni considerevoli. Infatti esso con il tempo era stato ampliato per ospitare gli alloggi del medico e dell’infermiere che qui vi soggiornavamo in pianta stabile. Attualmente il comune ha ristrutturato il vecchio ospedale finalizzandolo ad uno spazio per i grandi eventi.
Riprendo, per l’ennesima volta a salire. Sono quali alla fine della prima delle due più impegnative salite della giornata. Siccome non mi osavo prendere troppa acqua al campeggio, ho riempito solo due borracce ed arrivo in cima che sono nuovamente a corto di acqua. Su Google mi segnalava un bar ed un ristorante, presso i quali mi sarei fermato più che volentieri a mangiare, ma scopro tristemente che sono entrambi chiusi. Girando per il minuscolo gruppo di case, intravedo un signore nel bel mezzo del lavaggio della sua auto, in giardino. Questa volta non mi faccio sfuggire l’occasione, e gentilmente gli chiedo se potesse riempirmi due borracce.
Non si fa di certo pregare, e mi restituisce le due bottiglie colme d’acqua. Per un pò sarò nuovamente a posto.
Mi fermo in un tornante per pranzo, un bel risotto alla milanese mi aspetta. Nell’attesa numerosi camper, moto ed autovetture vanno e vengono in entrambe le direzioni. Ciò che mi colpisce di più è una specie di hammer camperizzato, sul cui lato passeggero c’è una ragazza che con un sorriso ed un cenno della mano mi saluta.
Mentre sono in procinto di ripartire, un gruppo di tedeschi sopraggiunge dal basso, ed aspetto a farli passare prima di mettermi in scia. Ne ho contati sei, e mi metto alle spalle dell’ultimo a pedalare ad un ritmo sostenuto. Loro viaggiano leggeri, un furgoncino li ha scaricati alla fine della discesa, e con le loro bici a noleggio sono risaliti e poi scenderanno dall’altra parte. Uno di questi ha anche una bici elettrica.
Li recupero uno ad uno, e li supero nell’ultimo tratto che manca prima di arrivare in cima al valico. Solo la bici elettrica rimane fuori dalla mia rimonta, e glielo faccio presente una volta superato, mentre si stava riposando alla fine della salita. Non mi fermo e tiro dritto, perché ora so che mi aspetta una bellissima discesa.
La discesa è di circa tredici chilometri e mi butto giù a capofitto in piedi sui pedali. Sono curve mozzafiato con una vista da paura sulla vallata sottostante. Solo due moto riescono a superarmi durante tutto il tragitto, che percorro tutto d’un fiato senza soste.
Mi fermo solo al primo paese, Fluminimaggiore dove sosto per una birra veloce – Ichnusa al limone – prima di ripartire per l’ultima salita della giornata. Scambio qualche parola con la barista, e con un avventore del bar, che un po’ sfottendo mi faceva notare che la strada d’ora in avanti sarebbe stata tutta curve ed in salita. Come se non lo sapessi.
Mi piacerebbe arrivare a Portoscuso stasera, da dove prenderei un traghetto l’indomani per Calasetta, procedendo poi verso Sant’Antioco.
Non avevo fatto bene i conti, ed il buio sopraggiunge prima del previsto mentre ancora sto salendo. La vallata è profonda ed i raggi del sole non riescono più a far breccia. Le ginocchia sono in fiamme, ed i tendini dei piedi stanno iniziando a lanciarmi dei segnali poco incoraggianti.
In un tratto rettilineo, complice il cambio di marcia, sterzo troppo verso sinistra ed il manubrio si chiude facendomi cadere la bici di mano, e finire in mezzo alla strada di traverso. Fortunatamente non sta sopraggiungendo nessuno in questo momento. Rialzo lentamente la bici da per terra, bevo un pò d’acqua e riprendo a spingere sui pedali.
Sono evidentemente stanco, è decisamente ora di fermarsi.
In un tornate un signore su di una jeep mi suona e mi fa cenno che è quasi finita. Poi ci ripensa e mi fa, quasi quasi. Non capisco bene, ad occhio dovrei essere in cima. Dopo altri sette chilometri di agonia vedo finalmente un gruppo di case, che mi fa ben sperare per la fine di questa odissea di salita. Oramai ho tutte le luci accese, sta iniziando ad essere tardi, anche per pedalare.
Accosto sulla destra e realizzo che c’è un bar. Il titolare sta quasi chiudendo, portando fuori la spazzatura dal locale. Mi fermo per una birra e ne approfitto per chiedergli quanto manca alla fine della salita. Un chilometro. Un lunghissimo chilometro. Sono consapevole di non avere più energie per proseguire, è quasi il tramonto e ancora non ho un posto dove andare a dormire.
Al momento di pagare la mia Ichnusa da 66cl, chiedo se ci fosse un buon posto dove accamparsi per riposare per qualche ora. Il barista ci pensa un po’ e mi dice:
– E’ tutto parco qua, va’ quassù e prendi a destra o a sinistra. E’ tutto parco, non ti dice niente nessuno.
Rincuorato da questa parole, mi faccio carico dell’ultimo chilometro di salita. Arrivo in cima e devo scegliere quale direzione prendere. Sia a sinistra che a destra partono due strade sterrate, ma scelgo quella di sinistra, perché mi può dare qualche minuto di sole aggiuntivo, essendo esposta ad ovest.
Ed è così che dopo meno di un chilometro trovo una piccola radura, rialzata rispetto al livello della strada, e mi appresto a prepararmi il giaciglio per la notte, mentre un cielo rosato va mano a mano a spegnersi lasciando il posto ad un’altra notte stellata.
Faccio in tempo a chiudermi nella mia tenda che una mucca con un campanaccio sopraggiunge pochi metri sotto di me. Arriverà fino al limitare con la strada asfaltata per poi tornare indietro da dove era arrivata. Sembra quasi sia giunta sin qui per darmi il benvenuto.
Ed è con questo rumore di campanaccio che mano a mano si allontana che lentamente la stanchezza prende il sopravvento su di me.