Sveglia alle 5:30, smonto il campo in mezz’ora. Senza la tenda ci metto pochi minuti. Alle sei spaccate siamo di fronte alla casa del nostro host, che è già in piedi al lavoro. Ha una piccola panetteria, dove rivende al dettaglio poche cose: un po’ di pane, qualche brioches e generi alimentari di prima necessità.
Ci lascia scegliere il pane per colazione e ci offre un cappuccino alla macchinetta. Non potevamo chiedere di meglio. Davide gli lascia un paio di cartoline ricordo, con le foto del suo viaggio negli Stati Uniti ed in Africa.
Terminata la frugale colazione lo ringraziamo di cuore e tra due parole di inglese ed una in tedesco ci congediamo.
Finiamo i preparativi, Davide ha quasi finito di caricare la sua bici. È giunto il momento dei saluti. Rimonto in sella e ci dividiamo con una battuta. Il suo sorriso accanto a quella bici carica all’inverosimile è il ricordo che voglio portarmi dietro.
È stato un onore per me avere la fortuna di condividere due giorni di viaggio con un Cicloviaggiatore di lunga data. Cinque anni in viaggio tra America e Africa, e circa altrettanti anni lo aspetteranno adesso verso l’est. Un giorno, ne sono certo, ci reincontreremo.
Parto poco prima delle sette, e piove. Tiro dritto a testa bassa in direzione Innsbruck. Dopo circa trenta chilometri mi fermo in un paesino, dove ho visto l’insegna di un supermercato, “Spar”.
Entro dentro e la proprietaria mi chiede qualcosa in tedesco. Le rispondo, sempre in tedesco, che non parlo la sua lingua, ma inglese o italiano eventualmente.
Lei felicissima urla: “Elisabeth!”
Arriva una giovane ragazza che mi parla molto bene in italiano. Mi fermo qualche minuto a fare conversazione mentre scelgo cosa comprare.
Pago ed esco a mangiare sedendomi su una panchina fuori dal supermercato.
La titolare esce per sincerarsi che la panchina sia asciutta. Conversiamo un pochino in inglese, mi chiede da dove vengo e quando le dico che arrivo in bici da Milano mi dice che non c’è mai stata, a Milano. Le rispondo che “c’è sempre il tempo“, ma dalla espressione sul suo viso non sono certo abbia colto il mio spirito filosofico.
Mi chiede se voglio un tè caldo, che accetto felicissimo. Rientra dentro, per uscirne pochi minuti dopo con un tè bollente, che accolgo con gioia tra le mani infreddolite e bagnate. Rimango così qualche minuto, ripensando alla pessima accoglienza della polizia austriaca (che sicuramente non ha colpe, ma avrebbero potuto evitarci la multa), decisamente eclissata dalla generosità del fattore e dalla gentilezza della proprietaria del supermercato. Posso sinceramente affermare di essermi sentito come cullato da una nonna, per quella manciata di minuti che sono rimasto nei pressi del negozio. E nonostante l’inizio della giornata, e le previsioni meteo che non lasciano ben sperare, questi piccoli gesti per un viaggiatore (o cicloviaggiatore) fanno la differenza. Nessuno potrà mai decidere di far smettere di piovere, ma chiunque può allietarti una pausa dall’acqua con una tazza di tè caldo.
Riparto poco dopo, ed arrivo finalmente ad Innsbruck. Su Google sfoglio svogliatamente le principali attrattive della città, ne scelgo due: Maria-Theresine-Strasse ed il Tettuccio d’Oro. La prima la percorro in bicicletta partendo dall’Arco di trionfo, mentre la seconda la raggiungo rigorosamente a piedi, essendo una zona pedonale. Non si sa mai!
Nel frattempo ha smesso di piovere e ne approfitto per fare qualche foto di rito, in mezzo alla calca di turisti che mi osservano incuriositi spingere una bici carica, con un cerchio “di scorta” sulle borse posteriori.
Sono fermo ad un semaforo quando vengo affiancato da due ciclisti in assetto da bikepacking. Hanno le scritte in italiano sulle magliette, per cui azzardo un:
“Siete italiani?” alla loro risposta affermativa chiedo nuovamente:
“Che giro avete fatto?”
“Stiamo andando a Monaco, abbiamo fatto lo Stelvio. Ti abbiamo visto sulla strada per lo Stelvio, sei quello che gira con la ruota dietro!”
Scoppio a ridere, e nel frattempo scatta il verde. Li saluto e ci separiamo. Inizio a controllare l’applicazione Komoot per capire quale direzione devo prendere. La strada per rientrare in Italia passa inevitabilmente per il Passo del Brennero, che ho fatto qualche volta con il furgone di una ditta per la quale lavoravo qualche anno addietro. Immagino che la statale che devo prendere sia meno trafficata, essendoci l’autostrada a pochi passi. Esco dalla città, ed il traffico si fa subito intenso e veloce, nonostante sia l’ora di pranzo. Mi fermo a lato della carreggiata per capire se ci siano eventuali strade alternative. Intuisco che, essendoci l’ingresso autostradale poco più avanti, questo tratto deve essere per forza molto battuto.
Inizio a salire, allontanandomi dal centro. C’è subito un muro al 18-20%, con un parco pubblico con i tavolini ai piedi. Luogo perfetto per una breve pausa pranzo. Mangio pane e formaggio acquistati in mattinata al supermercato, mentre un gruppo di tre ragazzi con il cane arriva e si mette a giocare con le altalene del parchetto.
Finito di mangiare faccio incetta d’acqua alla fontana e mi preparo a spingere la bici per questi duecento metri in salita. Arrivo in cima e mi ritrovo sulla statale, poco dopo il raccordo con l’autostrada. Il traffico qua è decisamente minore. Continuo seguendo la statale, e noto con piacere gruppi di ciclisti con bici da corsa superarmi di tanto in tanto. Questo significa che sono sulla strada giusta, che non ci sono alternative ma sopratutto che le biciclette posso circolare in questo tratto. Oramai, in Austria, questa è la mia prima preoccupazione. Ad un certo punto Komoot mi segnala una deviazione sulla destra. Mi fermo a controllare, confrontandola con Google Maps. La deviazione è più corta ma con un maggior dislivello. Però è una strada secondaria, probabilmente non asfaltata ma sicuramente senza traffico. Decido per la deviazione.
Passono meno di cinque minuti e capisco subito che ho preso la decisione sbagliata.
La strada effettivamente esiste, e questo è forse l’unico aspetto positivo. Ma lo sterrato è parecchio tosto e le pendenze sono piuttosto ripide. Spingo per qualche decina di metri la bicicletta in un paio di occasioni. Ad un bivio scelgo la strada che mi consiglia Komoot, a destra, nonostante vada verso l’autostrada. Sono convinto ci sia un sottopassaggio da qualche parte. Invece no. Arrivo spingendo in piedi sui pedali ad una piazzola di sosta di un autogrill. In pratica questa strada sterrata, arriva senza barriera alcuna, in un parcheggio secondario dell’autogrill stesso, in autostrada. Assurdo!
Komoot, brillantemente, mi suggerisce di attraversare il piazzale, prendere un raccordo autostradale contromano e poi entrare su una strada secondaria che affianca l’autostrada, senza contare che sull’altro lato c’è una recinzione metallica ed una sbarra ad impedire che qualcuno possa entrare.
Rimango un paio di minuti sbalordito di fronte all’applicazione, con un bicicletta carica, in mezzo ad una piazzola di sosta dell’autogrill. Mi guardo furtivamente intorno, preoccupato che qualcuno possa già aver avvertito la polizia. Nel frattempo ricontrollo la mappa, ho due opzioni: tornare indietro di diversi chilometri sullo sterrato, e riprendere sulla statale, bruciandomi parecchie centinaia di metri di dislivello, oppure tornare indietro al bivio e prendere a sinistra. Da Komoot non si vede, ma forse c’è la possibilità di raggiugnere la strada secondaria facendo un giro poco più lungo. Scelgo questa opzione, se va bene mi risparmio un bel po’ di salita.
Torno indietro, passando davanti agli sguardi un po’ stralunati di camperisti ed automobilisti nel parcheggio. Giro questa volta dall’altra parte, sempre sullo sterrato che prosegue in mezzo al bosco. Le fronde degli alberi oscurano di parecchio il sentiero, e le nuvole non aiutano affatto. Arrivo infine nuovamente sull’asfalto e costeggio l’autostrada per qualche chilometro, attraversando piccoli paesini di case che sembrano tutte residenze estive.
Alla prossima deviazione che mi appare sulla mappa di Komoot non do retta, e proseguo sulla statale. Nel frattempo ricomincia anche a piovere, a quanto pare oggi non morirò disidratato, questo è sicuro.
Arrivo al confine con l’Italia, e torno a calpestare il suolo della mia amata patria. Non fossi sotto il diluvio, mi fermerei per baciare il suolo. No, non è vero. Non lo farei anche se fosse soleggiato. Mi fermo nel primo bar oltre il confine, ed ordino un tè caldo, parlando in tedesco ovviamente. Nel frattempo vado in bagno e mi cambio da testa a piedi. Prendo un secondo tè, sperando che la situazione meteorologica migliori. Dopo oltre un’ora sto meglio, sono asciutto, ma continua a piovere. Un avventore del bar attacca bottone, parlandomi in italiano con un perfetto accento tedesco. Ne approfitto per chiedergli se conosce un posto dove posso andare a dormire, vorrei arrivare a Bressanone, essendo la strada da qui in avanti in discesa. Ma con questo tempo mi passa rapidamente la voglia. Su Booking i prezzi restano esorbitanti e su AirB&B se possibile sono ancora più alti. Trovo un hotel ad un prezzo decente qualche chilometro dopo Vipiteno, lo chiamo e chiedo:
“Avete posto, al chiuso, anche per la bici?”
“Sì, la macchina la può lasciare nel piazzale di fronte all’hotel”
“No, io non ho la macchina. Sto viaggiando in bicicletta”
“Ma viaggia in bici con questo tempo?”
“Eh, per forza. E meno male che è solo pioggia e non grandine signora”
La discesa sarebbe anche stata una bella discesa non fosse per la pioggia incessante che non mi permette di allentare la tensione dalla bici neanche per un secondo. A velocità sostenuta, sul bagnato, se sbagli qualcosa è un attimo che ti ritrovi per terra.
Non sto a descrivervi come sia pedalare sotto la pioggia, con le gambe bagnate, lo sguardo rivolto verso il terreno altrimenti le gocce finiscono sugli occhiali e non ci vedi più. Il respiro buttato verso il basso per non fare appannare gli occhiali. Le pozzanghere che alzano un’onda d’acqua che bagna le gambe già zuppe.
Le imprecazioni, anche quelle, che tiri ogni volta che prendi una buca nascosta dall’acqua.
Tutte le foto mancate perché non vuoi bagnare l’attrezzatura e perché la luce fa schifo.
Non vi descrivo nemmeno lo sguardo della gente che mi vede passare e chissà cosa pensa. Chissà cos’hanno pensato quei due falegnami che stavano caricando legname su una strada sterrata, presso i quali mi sono fermato per chiedere quanto mancasse a Vipiteno.
“Sempre dritto, per altri 10 chilometri” mi dice il primo.
“Anche quindici, quasi venti mi sa” aggiunge il secondo. Ecco, questo avrei preferito non sentirlo. Ancora venti chilometri sotto la pioggia, dopo che ne avrò già percorsi un centinaio. Inizio ad essere stanco, impaziente, infreddolito e zuppo.
E cerco di immaginarmi anche cos’ha pensato quel turista, al riparo sotto l’ingresso di un hotel, al quale ho chiesto indicazioni per Vipiteno. Non è della zona, era un tedesco e non sapeva aiutarmi. Ne approfitto del riparo per tirare fuori il telefono senza bagnarlo troppo. Ma le gocce, dai miei capelli, cadono ugualmente sullo schermo rendendolo di fatto inutilizzabile a causa dell’umidità. Lo asciugo strofinandomelo sulla maglietta bagnata, non miglioro molto la situazione, ma per lo meno riesco a capire che superato Vipiteno dovrò abbandonare la ciclabile e tenermi alla sinistra del fiume per raggiungere l’hotel. Questo vuol dire percorrere qualche chilometro sulla statale, sotto la pioggia e con poca luce. Ottimo..
Arrivo a Vipiteno e mi butto in centro città. Sul finire del paese entro sotto i portici, e mi fermo dinnanzi ad un negozio chiuso. Mi guardo un pò intorno: un ragazzo in motorino che passa a prendere un amico, una famiglia a passeggio con gli ombrelli, una coppia che guarda le vetrine. Un signore, in tedesco, nel passarmi accanto mi dice “Buona fortuna”. Sorrido e lo ringrazio. Non ne ho avuta molta oggi, ma poteva andare peggio. Per lo meno non mi ha fatto sentire invisibile.
Ultimi quattro chilometri, e come da tradizione quando sono stanco, a fine giornata, sotto la pioggia e bagnato fradicio, sbaglio strada. O forse no, ma due piste corrono parallele una all’altra, e non sono certo che si riuniscano anche perché di mezzo c’è una lunga recinzione di un campo volo. Mi fermo, e mi piego in avanti a protezione dello schermo del telefono per non bagnarlo. Controllo Maps, e decido per non correre il rischio di andare avanti e poi essere costretto a tornare indietro, di fare dietrofront subito. Mi rimetto in pista, e dopo aver fatto il giro del campo di volo scopro che le due piste, effettivamente, si riuniscono tramite un varco nella recinzione metallica. Bene, sono tornato indietro per nulla.
Ultimo tratto sulla statale, accendo le luci ed inizio a spingere per quanto possibile sui pedali. La strada è pianeggiante, ma le energie iniziano davvero a scarseggiare. Finalmente vedo il piazzale antistante l’hotel. Svolto a sinistra e parcheggio la mia Xena di fronte all’ingresso.
Su uno dei tavoli fuori mi tolgo la giacca e la maglia che gocciolano acqua. Alla reception chiedo una busta di nylon per poter riporre i vestiti bagnati per farli lavare ed asciugare all’hotel. Mi conferma la presenza dell’asciugatrice per cui ho buone speranze che domani siano asciutti. Chiedo se il ristorante è aperto, ma purtroppo non danno cena. Mi consiglia un’hamburgheria a dieci minuti a piedi dall’hotel. Mi dice anche che mi presterà l’ombrello per la passeggiata.
Esco di nuovo a riporre la bici nella “ski room”, slego le borse e le porto in camera. Qui disfo le valige, mi metto addosso i pochi indumenti che mi rimangono asciutti e butto tutto il resto nella borsa che porto alla reception. La ragazza è da sola, a gestire mezzo hotel, spero non si dimentichi dei miei vestiti altrimenti domani mi tocca ripartire con la roba bagnata e puzzolente.
Doccia, qualche minuto di relax e poi esco per la cena. Cammino dieci minuti sul lato della statale, con l’ombrello dell’hotel, prima di arrivare in questo posto che assomiglia molto ad un locale per soli motociclisti. Beh, non ho una moto, ma sono indubbiamente un ciclista. Ordino un’hamburger, una bella birra e concludo la cena con un dessert confezionato. Stessa strada al ritorno per tornare in hotel. La mia roba giace ancora nel sacchetto nella hall e solo adesso, mentre restituisco l’ombrello alla ragazza, viene portata di sotto.
Oggi è stata la prima giornata in cui ho pedalato interamente sotto la pioggia. Mi sono cambiato completamente i vestiti, ed anche il secondo cambio è zuppo. Ho fatto una marea di chilometri, ma ho potuto ammirare davvero poco, nonostante questa zona abbia davvero molto da offrire a livello paesaggistico.
Con la speranza di avere un po’ di sole domani mi addormento in un lampo.