Alle sette e zero nove sono in marcia sul suolo sloveno. La ciclabile è molto scorrevole, con pendenze davvero leggere e piacevoli. All’ingresso di Koper mi fermo per colazione, ed al bancone ordino un cappuccino.
– Ah, italiano – mi risponde la barista con aria un pò schifata. Io le sorrido affermativamente.
Mi guarda con la stessa espressione sul volto e mi dice:
– Scegliti un tavolo e siediti, non serviamo al banco.
Mi dirigo verso il tavolino che mi permette di tenere sott’occhio la bici posteggiata all’esterno. Mi portano il cappuccino e la brioche, che divoro in un attimo. Pago ed esco. Che bel benvenuto, penso tra me e me.
Proseguo sulla ciclabile lungo il mare, davvero molto bella. Un sacco di ciclisti e gente mattiniera che corre o passeggia sono già in giro. Continuo così fino a Izola, dove la ciclabile attraversa la città. Mi alterno sulla pista con un ragazzo in montainbike per qualche centinaio di metri, finché non lo perdo di vista.
Ad un certo punto la ciclabile svolta a destra, mentre il mio navigatore mi dice di prendere a sinistra, avvisandomi dell’inizio di una salita.
Mi fermo per consultare la mappa, sotto lo sguardo incuriosito dei passanti del luogo. Sono in mezzo ad un campo, e cerco un riparo all’ombra di un albero, all’imbocco di una stradina privata.
Allora: il mio navigatore mi dice che ci sarà una tosta salita che mi permetterà di risparmiare qualche chilometro di strada, non mi sembra male. Dall’altro lato, non ho un itinerario ben definito della Parenzana, però sembrerebbe molto più semplice seguirla visto che ci sono diversi indicatori ad ogni deviazione.
Decido di fidarmi di Komoot – e del mio navigatore – e punto verso la salita.
Dopo poche centinaia di metri sono in piedi sui pedali.
Poche decine di metri dopo devo scendere per spingere la bici a mano. Troppo ripida, e decisamente troppo pesante anche da spingere a mano. Mi trovo alla base di una salita del 12%. Mi fermo.
Tiro fuori nuovamente il telefono e consulto di nuovo le mappe, nel giro di pochi minuti.
Penso tra me e me che è ancora mattina, sono già sudato marcio, devo affrontare una salita disumana e mi chiedo:
– Ne vale la pena? – faticare così tanto, ancora ad inizio viaggio, soprattutto quando a poche centinaia di metri corre una ciclabile sui vecchi binari di un treno, per cui decisamente più abbordabile, senonché più lunga?
Con uno sforzo non indifferente giro la bici di centottanta gradi, senza farla cadere. Risalgo sui pedali e mi butto giù in discesa, lunga la strada dalla quale stai arrivando.
Mi capita veramente di rado di tornare indietro sui miei passi. In tutti questi anni, posso davvero contare sulle dita le volte in cui ho deciso di tornare indietro lungo la mia strada, ma forse sono maturato abbastanza per rendermi conto che, dopotutto, tornare indietro non è sempre una cattiva idea. O meglio, decidere di tornare sui propri passi non sempre significa “sconfitta”, ma aver imparato che a volte si va più lontano seguendo una strada già scritta, piuttosto che affrontando una via impervia e ripida.
E’ con questo spirito che arrivo nuovamente al bivio con la Parenzana, e metto le mie ruote sulla ciclabile ben segnalata difronte a me.
Mi lascio trasportare dal flow della ciclabile. Molti ciclisti, alcuni con la bici elettrica, altri con la muscolare. Una ragazza fa le ripetute con la bici da corsa, e me ne accorgo solo quando la incrocio per la seconda volta.
Un lungo e fresco tunnel mi porta alla periferia di Portoroz, che attraverso cercando a destra e a manca una fontana. Ne trovo un paio all’interno di un parco pubblico ma scopro pochi istanti dopo che hanno deciso di chiuderle a causa della siccità. Bell’idea penso io, mentre rischio di morire disidratato.
Poco più avanti le indicazioni spariscono, quando mi trovo all’ingresso di un campeggio. Non capisco bene dove devo andare, per cui mi dirigo sulla strada a sinistra del campeggio. Nel frattempo noto due persone in bici entrare senza fermarsi nel campeggio, e penso che abbiamo probabilmente la tenda o un camper all’interno. Tenendo sott’occhio la cartina, intuisco che sto prendendo la direzione sbagliata, per cui torno sui miei passi e mi dirigo verso l’ingresso del camping con aria interrogativa. Entro passando a fianco della sbarra chiusa e nessuno mi ferma, per cui facendo finta di nulla proseguo dritto.
Dopo diverse centinaia di metri capisco che la direzione è quella giusta, semplicemente la Parenzana attraversa un campeggio privato, per poi sbucare sul mare dall’altro lato. Non me lo sarei mai aspettato. Lungo questa ciclabile ci sono anche bagni liberi e mi fermo, finalmente, ad uno di essi per riempire due borracce d’acqua visto che la stavo quasi finendo.
Proseguo lungo il mare per un pò, e poi attraverso quella che mi sembra un’acquitrino, che ben presto capisco essere un’immensa salina, all’interno della quale c’è anche il parco naturale di Secovlje.
Alla fine delle saline, una deviazione mi costringe a rientrare sulla statale, a poche decine di metri dalla dogana croata. C’è una lunga fila di macchine in attesa, e con la classica nonchalance di un cicloturista italiano, supero tutti per posizionarmi dietro ad altre due coppie di ciclisti in attesa di mostrare i loro documenti.
Quando è il mio turno mostro la carta di identità che il poliziotto nemmeno si degna di prender in mano e con un cenno mi dice di passare. Mi fermo immediatamente dopo a mangiare un gel integratore, inizia a fare caldo ed il tratto che mi aspetta quasi sicuramente non sarà ombreggiato. Mentre sono in piedi accanto alla bici, all’ombra di un’abitazione semi abbandonata (non fosse per gli animali che ci vivevano all’interno), vengo superato da diversi gruppi di ciclisti, alcuni con le borse, ma decisamente meno attrezzati di me. Probabilmente solo dei turisti in giro per la giornata.
Riprendo a pedalare lungo un splendida strada sterrata, che fiancheggia le saline e sale poco a poco. La mappa mi lascia intuire che la pista segue il naturale percorso di un promontorio, per poi tornare indietro dopo un’ampia curva sull’altro lato del promontorio stesso.
Questo pezzo avrei sicuramente potuto tagliarlo proseguendo di pochissimi chilometri sulla statale, subito dopo il confine, ma mi sarei perso un bellissimo punto panoramico sulle saline, nonché la brezza leggera che mi ha accompagnato sull’altro versante della collina.
Ad un certo punto, quasi in cima a quella che reputo la fine della salita, in concomitanza con un gruppo di case isolate, la strada si fa un pò più dura con un fondo pieno di grossi sassi. Sto per sganciare i pedali, per essere pronto a superare questo tratto, che la ruota anteriore perde di aderenza, riesco a sganciare il piede destro, ma sono sbilanciato a sinistra, e non faccio in tempo a staccare il piede. Mentre cado butto la mano sinistra a terra e ci atterro sopra con il peso del corpo.
Un dolore acuto alla mano si manifesta sin da subito. Con una mano sola ed un notevole sforzo riesco a sollevare la bici, quel tanto che serve per liberare il piede.
Mi rialzo e controllo la bici: mi sembra a posto, solo un pò di polvere bianca sulle borse a causa della ghiaia sulla quale è caduta.
Poi guardo le gambe, il ginocchio è un pò rosso, la tibia sanguina leggermente.
La mano presenta solo un po’ di arrossamenti sul palmo, niente escoriazioni, solo un male cane.
Tiro su la bici, bevo e mi posiziono all’ombra per riprendermi dalla botta. Poteva andare peggio, ma avrei voluto evitarmela.
Mi rimetto in sella, con una mano sola. La mano sinistra non riesco ad appoggiarla, per cui tengo il manubrio solo con la destra, e due dita della sinistra. Su un strada sterrata, in discesa, sulla ghiaia. Che culo, dico io.
Al primo paesino poco prima di Buje, mi fermo per una Coca-cola e chiedo di pagare con la carta. Non ho ancora prelevato, ma ho già convertito con Revolut un po’ di Euro in Kune. Due coppie di cicloviaggiatori mi superano in questo momento, segno che la Parenzana è molto frequentata e ben conosciuta, anche all’estero.
Più avanti la ciclovia si butta nell’entroterra croato mentre il mio itinerario si dirige verso sud, in direzione Novigrad. Inizio ad avere un certo languorino percui inizio ad adocchiare i migliori ristoranti in zona. Ne trovo uno, ma quando ci passo davanti vedo che l’accesso è al piano superiore, il che vorrebbe dire che non potrò tenere d’occhio la bici durante il pranzo. Tiro dritto, ma poi ci ripenso, posso sempre legare la bici, nonostante il paese sia veramente piccolo e poco frequentato.
Mi fermo cosi al Konoba Astarea, ristorante di terra e mare con una vista suggestiva sulle campagne circostanti ed il proprietario che parla anche italiano.
Mi fa subito accomodare, e senza porgermi il menù, mi chiede cosa voglio mangiare. Gli dico che sicuramente vorrei mangiare pesce, e lui mi confeziona un’antipasto misto di mare, caldo e freddo, con un risotto al nero di seppia.
Quando mi arriva l’antipasto capisco subito di aver vinto il jackpot oggi. La presentazione è sublime ed il gusto ve lo lascio solo immaginare. Ingolosito anche dal risotto, più che squisito, e nonostante fossi decisamente pieno, chiedo ed ottengo anche un dolce, ovviamente fatto in casa. Il tutto accompagnato da un ottimo vino bianco locale.
Mi alzo un pò barcollando, sazio e soddisfatto per andare a pagare. Al banco il titolare mi chiede del mio viaggio, e ne approfitto per chiedergli due dritte sulla strada che mi aspetta davanti, essendoci appesa, vicino alla cassa, una cartina della zona. Finisce che mi offre un bicchiere di un’ottima grappa alle erbe di loro produzione.
Ripartito dal ristorante e cerco subito una strada sterrata secondaria, dove stendermi qualche ora sull’amaca. La prima strada che imbocco finisce dritta in un terreno privato dove è presente il proprietario. Facendo finta di niente faccio dietro front e prendo la strada sul lato opposto della carreggiata. Dopo duecento metri, trovo gli alberi giusti e monto l’amaca.
Mi addormento e mi sveglio che manca un quarto alle sei. Smonto l’amaca e riparto, l’idea iniziale di riuscire a fare cento chilometri oggi, sfuma inesorabilmente.
Riprendo a pedalare in questo entroterra croato che è di una bellezza disarmante. Uliveti, vigneti, fichi si alternano senza sosta, con qualche sprazzo di terra brulla qua e là. Percorro molto sterrato oggi, il che non aiuta di certo il mio contachilometri.
Arrivo a Porec al tramonto, e ne approfitto per fare un giro della città. Sono quasi le otto e trenta ed il sole sta tramontando sul mare, regalandomi dei colori e delle foto da paura.
Sulla una delle piazze della città c’è un un luna park con dei bagni pubblici e ne approfitto per fare rifornimento di acqua, riempiendo anche la sacca idrica per la doccia.
Esco dalla città alla ricerca di un posto per la notte, ma tutto quello che vedo davanti a me tramite Google Maps non mi soddisfa.
Percorro circa dieci chilometri, con le luci accese, prima di trovare da una diramazione della statale, sulla sinistra, una radura isolata, e lontana dalle case.
Spingo la bici per un centinaio di metri in salita, lontano da auto ed occhi indiscreti, e finalmente ho un bello spazio tutto per me, dove passare la notte in tranquillità. Solo qualche animale potrà disturbare il mio sonno stasera.
Monto la tenda, l’amaca, mi faccio la doccia e mi concedo qualche minuto di relax sull’amaca prima di preparami per andare a dormire.
Mi addormento con il rumore di animali tutto intorno a me, e sotto una luna piena da paura