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DAY #4: POREC > PEROJ 66KM

Alle 6:30 sono sveglio, ma smonto tutto con estrema lentezza. Ai fatti sono le 8:16 quando finalmente mi rimetto sui pedali. Riparto senza colazione, sgranocchio solo due noci ed alla prima salita sento le forze abbandonarmi a poco a poco.
Il 7% di pendenza vuol dire usare il rapporto più morbido. Con questo bagaglio, il 9% sul quale sto arrancando in questo momento significa spingere la bici a braccia. Cosa che decido immediatamente di fare per non decimare le ultime forze residue.

Mi fermo presso un circolo ACLI chiuso per recuperare un po’ d’acqua e decido che è ora di pranzo, così, di ignoranza, alle 11. Faccio approvvigionamento d’acqua alla fontana e mi preparo una gustosissima pasta al tonno con spezie. Alcune famiglie a passeggio transitano nella zona, limitandosi ad osservarmi fugacemente dalla distanza.

Sono costantemente alla ricerca di acqua, ma non ne trovo finché non arrivo a Rovinj.
All’ingresso della città non ho contanti per pagarmi una coca e sono costretto a fare qualche metro in più rispetto al bar che avevo individuato per fare una breve sosta.
Sul piazzale antistante un cane mi viene incontro, si accuccia all’ombra della mia Xena e ne approfitta per farsi fare un po’ di coccole.

In città ne approfitto per fare un breve tour sul lungomare cittadino e parecchie foto, sono le quindici e i vicoletti mi aiutano a schivare il caldo afoso di questa estate torrida.
Arrivando in città avevo notato con disappunto che la ruota posteriore stava dando segni di cedimento. Il copertone presenta evidenti segni d’usura ed è giunta l’ora di cambiarlo dopo oltre cinquemila chilometri a pieno carico. Ho dei copertoni di scorta come me, ed avendoli già provati so che sarà un impresa sostituirli in quanto molto duri da far “scavallare” nell’ultima parte. Individuo così un paio di officine ciclistiche, che altro non sono che negozi di noleggio bici per gli splendidi sterrati che partono dalla periferia della città.
Il primo non accenna ad aprire nonostante su Google lo dia aperto dalle quindici, per cui mi dirigo verso il secondo.
Una splendida commessa esce per capire di cosa avessi bisogno. Le spiego che in poche parole dovrei essere in grado di facela da solo, ma che potrei avere bisogno di una mano nel caso non riuscissi a completare l’opera in autonomia. Mi dice che non ci sono problemi, e che in officina c’è un ormone grande e forzuto che sarà ben felice di aiutarmi.
Mi metto a smontare le borse dalla bici rassicurato, e mi appresto a cambiare entrambi i copertoni.

Dopo diversi minuti, quando sono a metà dell’opera la ragazza esce nuovamente e si complimenta per il lavoro svolto. Le confido che, quasi sicuramente, non riuscirò a far entrare del tutto il copertone nel cerchio, per cui entro con lei ed il cerchio e ci dirigiamo insieme verso l’officina sul fondo del negozio.
Ad attendermi c’è veramente un omone grande e forzuto che con una manualità elfica ripristina il copertone nella sede del cerchio mentre io mi appresto a sostituire anche quello della ruota anteriore.
Gli passo anche il secondo cerchione e lo osservo attentamente procedere nell’ultimo passaggio che io non riuscivo a fare. Mi dice semplicemente, mentre mi fa vedere, che in casi come questi è sufficiente inserire più a fondo il leva-copertoni per fare leva, ed il gioco è fatto. Era davvero così semplice.
La ragazza mi permette di darmi una rinfrescata nel bagno del negozio, e ne approfitto per comprare un paio di guanti nuovi per sostituire i miei che oramai cadono a brandelli. Prendo il paio più imbottito che hanno per evitarmi altri problemi di infiammazione al nervo ulnare, classico per i ciclisti che passano parecchie ore in sella.
Ringrazio entrambi calorosamente, ed esco per rimontare tutte le borse sulla bici le cui ruote, nel frattempo, sono state gonfiate dal ragazzo.

Alle 16:21, con un caldo asfissiante e grondante di sudore, mi rimetto in sella. Dopo alcuni chilometri sono su una bella traccia di una vecchia ferrovia e la strada sterrata che sto percorrendo è tutto sommato gestibile, un tranquillo falsopiano in salita mi accompagna per un paio d’ore, permettendomi di pedalare in solitudine per questo pomeriggio in cui il caldo sembra non voglia lasciarmi tregua.

Rientrato in un piccolo paesino a sud di Rovinj effettuo una piccola deviazione dalla traccia per fare meno salita. Allungo il tragitto ma ci guadagno in salute. Qui la strada, sempre sterrata, presenta numerosi sali e scendi dovuti alla presenza di collinette a ridosso della costa.

Dopo alcuni chilometri, ecco uno degli incontri più meravigliosi ed inaspettati di questo viaggio. Una tartaruga mi sta lentamente venendo incontro.

Dapprima la supero, un po’ incuriosito, immagino ci sia una zona in cui sono presenti delle tartarughe qua vicino, e siccome preferisco non toccare animali selvatici mi fermo poco distante ad osservare la scena. La testuggine sta, con estrema lentezza, risalendo questa strada sterrata allontanandosi dal mare. La conformazione del terreno, e nello specifico della strada, non le permette di uscire dallo sterrato per la presenza di due alte ed impenetrabili siepi che costeggiano per lunghezza tutta la strada.
Rimango diversi minuti combattuto dalla paura che un autista distratto possa schiacciarla con le ruote, ma poi decido di ripartire, senza immischiarmi in vicende “selvatiche” di cui non ho alcuna conoscenza.
Prima di ripartire però, verso un po’ di acqua sul guscio della tartaruga un po’ per paura che faccia troppo caldo ed un po’ per pulirla dallo strato di polvere bianca che la ricopre, dovuta alle auto che percorrono questo tratto.

Sono quasi in sella alla bici, quando due ciclisti, presumibilmente locali, stanno risalendo venendomi incontro. Sono un uomo ed una donna, di ritorno dalla spiaggia, e l’uomo senza pensarci due volte si ferma vicino alla tartaruga.
Parla un po’ italiano, e mi dice che ho fatto bene a darle l’acqua. Mi dice che, verosimilmente, la testuggine è un po’ disorientata, e che la porterà indietro nella palude.
– Palude? – chiedo io. Scopro così che nella direzione in cui devo andare, in seguito ad una breve deviazione, c’è una palude, oasi naturale e casa di numerose tartarughe di terra, nonché di diverse specie di volatili.

Senza pensarci due volte gli dico:
– Se vuoi la posso portare io, tanto devo andare in quella direzione –
L’uomo ci pensa un po’ su, ma intuisco che l’idea di tornare sui suoi passi e poi tornare nuovamente in salita non lo entusiasmi.
– Grazie – mi dice.
– E di cosa? – rispondo io, automaticamente.
Lo so io, di cosa – mi risponde con un sorriso, adagiando lentamente la testuggine nel mio casco, che per l’occasiona svolgerà la funzione ti trasportino di tartaruga.

Lo sa lui, di cosa, ma non io. Penso, mentre mi dirigo con tutte le precauzioni del caso, in discesa, verso la palude. Per cosa, uno sconosciuto appena incontrato, dovrebbe ringraziarmi? Per riportare a casa una tartaruga che si era persa, la cui palude è esattamente nella stessa direzione nella quale stavo andando?
Per essermi offerto di farlo, risparmiandogli la fatica di una salita prima di cena?
Perchè? Questa domanda mi affligge per diverse ore nel prosieguo della serata.

Raggiungo il parcheggio della palude Vogelschutzgebiet, limite massimo oltre il quale non posso proseguire con la bici. Abbandono temporaneamente la mia Xena e procedo a passo spedito verso il limitare della palude. Quando arrivo a poche centinaia di metri da quella che, grazie a Google Maps, intuisco sia la palude rilascio la “bestia” adagiandola lentamente già rivolta verso casa.
Lei con un movimento lento, quasi di riconoscenza, si gira verso di me a guardarmi. Dopo pochi istanti inizia a passeggiare lentamente verso la palude.

Non le ho dato un nome alla testuggine, ma spero che stia bene e che sia rientrata sana e salva.

Ancora un po’ frastornato da questo incontro mi rimetto a pedalare in cerca del posto migliore in cui possa fermarmi per la notte. Supero la non degna di nota città di Barbariga e proseguo verso sud. La strada che devo percorrere evidenzia un tratto di costa privo di abitazioni, che decido di andare ad esplorare. Abbandonando l’asfalto, entro su una pista sterrata accessibile solo ai pedoni. Al bivio prendo a destra, allontanandomi maggiormente dalle rare abitazioni circostanti.
Finisco in una caletta semi deserta meta, intuisco subito, di nudisti che amano prendere il sole come mamma li ha fatti.
Senza pensarci troppo mi adeguo alla situazione, tanto sono in un paese straniero dove non mi conosce nessuno. Non vedo problemi di sorta. Intuisco che le poche persone presenti, rientreranno tutte alle rispettive abitazioni, per cui decido di fare uno strappo alla regola e fermarmi a dormire qua, nonostante la mia posizione sia evidentemente nota alle persone presenti. Sono in una zona abbastanza remota, non ho molti timori.
Mentre gli ultimi bagnanti si ritirano arriva una coppia di ritardatari. Proprio nel momento in cui mi sto accingendo a preparare un piatto di zuppa di cereali e legumi dell’Esselunga, per cena, con il fornelletto.
Mi godo un tramonto da cartolina mentre mando un paio di foto agli amici a casa. Stasera ho fatto jackpot. Spiaggia da urlo, cena al tramonto e zero sbatti nell’individuare un posto dove dormire.

Una volta ultimato di mangiare e risistemata la borsa della cucina mi preparo il giaciglio per la notte. Un piccolo muretto di pietra mi nasconde alla vista dal mare, e dal vento notturno.
Ripongo il telo impermeabile e la coperta per terra, seguiti dal materassino e sacco lenzuolo. La notte sarà sufficientemente calda da non dover tirar fuori il sacco a pelo.

Con una coperta di stelle, ed il telefono in mano per scattare le ultime foto, cado lentamente tra le braccia di Morfeo.

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