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DAY #5: PEROJ > LABIN 96KM

Notte davvero movimentata. Devo a malincuore ammettere che è la prima volta che mi capita di non riuscire a dormire bene durante un viaggio in bici.

Provo numerose volte ad addormentarmi, ma alcune imbarcazioni che navigano sotto costa mi mantengono sul “chi va là”. E’ la mia prima notte in riva al mare in Croazia e so che il campeggio libero è vietato. La polizia può perlustrare dal mare le coste in cerca dei trasgressori.
E una di queste imbarcazioni, presumo sia proprio della polizia. Ad un certo punto la barca si ferma (il motore rallenta), ed il potente faro luminoso posto a prua della nave inizia a puntare nella mia direzione. Io, nascosto dietro il muretto a secco di pietra sbircio preoccupato.
Il faro si sofferma per diversi secondi sulla bici, che con tutti i catarifrangenti di cui è dotata per la guida notturna, non passa di certo inosservata in mezzo ai cespugli.
Fortunatamente, e saggiamente, ho deciso di non montare la tenda, sennò in questo momento mi starei letteralmente cagando sotto. Nella remota ipotesi in cui dovesse arrivare la polizia posso sempre giocarmi la carta che ero stanco e mi sono steso qualche ora a riposare. Di certo questo giaciglio non ha l’aria di un campeggio, bensì di un ricovero di fortuna.

Poi ci penso più logicamente. La costa in questo tratto è rocciosa e un’imbarcazione non può assolutamente avvicinarsi per permettere a qualcuno di scendere a riva.
La città più vicina è a chilometri di distanza, e ad ogni modo la strada per arrivare sin qui è sbarrata e si dovrebbe proseguire forzatamente a piedi.
Le probabilità che venga sorpreso dalla polizia scendono drasticamente sotto il livello di soglia della mia preoccupazione e torno a rigirarmi nel mio giaciglio cercando di prendere finalmente sonno.

Alle prime luci dell’alba sto già smontando il campo, alle 6:03 sono in bici e sono già rientrato sull’asfalto. Dopo un paio di chilometri mi accorgo che il borsello centrale ha una tasca aperta, ed un leva copertoni in plastica è mancante.
Nonostante ne abbia numerosi di scorta, l’idea di un pezzo di plastica perso in questa terra così pulita e cruda mi da la nausea e torno indietro sin quasi al punto in cui ho dormito per ritrovare, poco distante, il leva copertoni perduto.

La meta di oggi è Pula e più precisamente Kamenjak, uno splendido promontorio che sembra dividere il mare in due, con spiagge di dura roccia e acqua di un blu profondo. La strada per arrivarvici è tutto sommato semplice, e ne approfitto per fare uno dei miei soliti viaggi mentali cui sono oramai abituato a fare durate le mie uscite in bicicletta.

In praticamente tutti i forum online mi era stato costantemente detto che le strade croate, lungo la costa, erano molto trafficate e pericolose.
Sono in Croazia da quattro giorni e non ho assolutamente trovato riscontro a questa affermazione. Le strade percorse sinora sono state davvero poco battute e tutt’altro che insicure.
Mi ritengo relativamente tranquillo a pedalare anche sulle strade asfaltate, e trovo che ci sia una cultura molto più rispettosa del ciclista rispetto all’Italia. Sono solo i primi giorni, e trascorrerò ancora un po’ di tempo in Croazia, ma questa è la mia prima impressione.

A Fazana mi fermo per la prima colazione classica: brioche, cappuccino e Coca-Cola. Un netturbino sta pulendo il lungo mare alla mia destra mentre decine di persone, mattiniere, stanno facendo colazione come me, oppure passeggiano sul mare.

Arrivo infine a Pula, e mi dirigo subito verso il centro storico della città. Faccio un giro ai piedi del Pulski Kastel, prima di imbroccare la strada giusta che mi porterà sul tetto della città. Faccio un giro in bici sulle mura del forte (una bici gravel sarebbe stata più d’aiuto), prima di perdermi per le stradine ed i mercati rionali del paese. La città vecchia merita sicuramente una visita, e mi lascio rapire dagli odori delle vie e delle stradine del centro.
Una panetteria mette sull’attenti il mio senso olfattivo, e ne esco poco dopo con un caldo pezzo di focaccia che mangerò in piedi, all’ombra, in prossimità di un incrocio che mi porterà fuori città.

In direzione Kamenjak trovo un impianto di irrigazione acceso. Senza pensarci un solo istante fermo la bici e scendo. Aspetto che il getto giri verso di me, ed un’ondata ghiacciata di acqua mi travolge facendomi fare un salto sul posto. E’ davvero fredda e non potevo aspettarmi niente di meno.
Ne approfitto per darmi una risciacquata e mi rimetto in sella.
Il capo Kamenjak è una località fortemente turistica per ovvie ragioni. L’accesso per le auto è a pagamento, mentre le bici possono circolare liberamente per tutta la lunghezza del parco. I negozietti di noleggio Mountain Bike affollano i piccoli paesini, così come per i quad a noleggio. Il percorso, da un certo punto in avanti è sterrato e per le macchine normali diventa sempre più difficile, tanto che alcuni devono comunque farsi qualche chilometro a piedi se vogliono accedere alle spiagge più rinomate.

Nella mia testa la meta è prefissata da tempo, voglio raggiungere la punta più estrema, o perlomeno il limite massimo cui posso spingere la mia bici. Seppur devo condividere la prima parte di strada con auto e quad, più mi addentro nel promontorio meno auto ci sono, finché solamente più a piedi ed in bici si può avanzare. Spingo la mia Xena ai limiti, su sentieri che difficilmente avrei intrapreso in altre situazioni. Ma finalmente dopo quasi due ore di scomode pedalate, arrivo in una delle spiagge più remote di Kamenjak.
Sono solo. Ci sono io, Xena e qualche sparuto gabbiano. Missione compiuta.

Mi sistemo comodamente sulla roccia più piatta che trovo, e mi faccio un bagno in questa acqua blu, fredda ma perfetta per tonificare le mie gambe stanche.
Mi lascio cullare un po’ dalle onde che in questo tratto di mare si fanno agitate, per poi tornare a riva.
Mi fermo per qualche ora a prendere il sole, nonostante siano quasi le ore più calde della giornata. Alterno un tuffo alla tintarella, sin quando non decido di rientrare.
Come prima parte della giornata non posso che ritenermi estremamente soddisfatto.
Arrivando qua, avevo notato un paio di aree di sosta lunga la strada e rientrando mi fermo in quella più isolata che trovo. Mentre aspetto che l’acqua inizi a bollire distendo l’amaca per il pisolino post pranzo.
Mando un paio di foto a casa, mangio e poi mi lascio assopire da una brezza leggera ma forte abbastanza da cullare me dentro l’amaca.

Al primo paesino di ritorno faccio nuovamente il pieno di acqua e mi dirigo verso nord, direzione Zagorje dove l’indomani dovrei prendere il traghetto per l’isola di Cres.
La strada dapprima in leggera discesa diventa un bello sterrato per diversi chilometri. Ad un certo punto, sento che la borsa posteriore mi tocca nel polpaccio e mi fermo per verificare che non si sia mossa dal portapacchi.
Con estremo orrore noto che un perno che fissa la borsa al gancio del portapacchi si è rotto e che l’avrò perso chissà dove sullo sterrato. Lo sistemo alla bell’e meglio con un fil di ferro di fortuna e riparto.
La discesa su sterrato che segue poco dopo non mi fa presagire nulla di buono per questa riparazione di fortuna.
Ed è così che, raggiunto nuovamente l’asfalto mi tocca fermarmi per risistemare la borsa, svuotandola completamente. Perdo mezz’ora buona, oltre a tutto il tempo già perso in precedenza.

Questo tratto di strada asfaltata, la statale 66, scorre via velocemente. Il dislivello è quasi nullo per alcuni tratti, e mi fermo rapidamente in un bar per una Coca.
Verso l’ora di cena incontro il paese di Marcana e mi fermo un attimo per studiare il da farsi. Inizia ad essere tardi, e vorrei cercare un posto per la notte. Le zone circostanti dovrebbero essere buone per un posto appartato, ma ho già percorso oltre ottanta chilometri adesso, e non mi dispiacerebbe proseguire ancora un po’ per toccare quota cento chilometri, per la prima volta da quando sono partito.
Decido così si fermarmi in questo paesino per cena e proseguire ancora un po’, più tardi, alla ricerca di un buon posto per montare la tenda. Anche se la strada che segue, visualizzandola su Maps, non mi sembra lasciare molte buone alternative per bivaccare.
Dopo un antipasto di formaggi ed un secondo a base di carne e patate e mi rimetto in marcia.
Quella che pensavo fosse una tranquilla strada secondaria di campagna si trasforma rapidamente in una strada ad alta frequentazione, totalmente buia.
Accendo le luci principali, oltre quelle in dotazione standard alla bici, e mi sento più tranquillo nonostante le numerose macchine che all’improvviso sembrano percorrere questa statale, che fino a poco prima di cena era semi deserta.
Individuo un paio di angusti posti per dormire, a lato della strada, subito al di là del guardrail. Mi fermo per capire la fattibilità ma poi riprendo a pedalare. Sono certo che posso trovare di meglio se non demordo, nonostante il fresco della vallata, l’ora tarda, e la stanchezza.
A quanto pare, questa strada che corre lungo il fondo di una stretta vallata, costeggiando quello che al buio mi pare l’argine di un fiume, è abbastanza fresca. Facendo risultare questa pedalata notturna, una pedalata autunnale.

Mi fermo nuovamente, sono all’imbocco di una salita. Le mie batterie fisiologiche sono quasi a terra. Devo ancora trovare un posto, darmi una lavata con la sacca idrica che mi sto trascinando dietro da cena, montare la tenda e preparare il tutto per dormire. Controllo nuovamente su Google Maps se ci sono alternative decenti in zona. L’unica sembra un parco al limitare del primo paese che incontrerò sul tragitto.
Decido quindi di proseguire per gli ultimi otto chilometri, sperando che questo parco sia abbastanza appartato e che nessuno possa darmi problemi. Arrivo al limitare del parco, e intuisco che in realtà è solo un grande prato. Lascio la bici al limitare, e avanzo a piedi, cercando di capire quale sia la posizione migliore per montare la tenda al riparo sia dalla strada che da occhi indiscreti.

Verifico soprattutto che non ci possano essere impedimenti nel terreno per la bici e per la tenda. In una zona del prato l’erba è tagliata di fresco a la parte sottostante è piuttosto dura e potrebbe bucarmi la tenda.
Individuo una zona in piano, al fianco di un albero, distante dal sentiero del parco e nascosto dalla strada. Il tutto con l’ausilio di una torcia frontale, a bassa luminosità per non vanificare gli sforzi di ricerca di un posto imboscato.
La percentuali di rischio di essere scoperti, o di sistemarsi in una posizione non comoda è molto alta, e questa è la principale ragione per cui detesto piazzare la tenda con il buio. E’ molto più difficile e i rischi, in un paese in cui il campeggio libero è vietato, sono decisamente più alti. Non ne vale la pena.

Monto il campo, compreso il tetto della tenda che solitamente quando fa caldo non metto. Mi do una bella sciacquata, e mi metto finalmente a dormire. Non prima di aver inviato la pozione sul gruppo di famiglia.
Non troppo distante dal mio bivacco deve esserci un serata musicale, in quanto in lontananza posso chiaramente sentire le note di una canzone molto di moda al momento.

Sono distrutto, dopo aver percorso “solo” novantasei chilometri, e ci metto davvero poco ad addormentarmi.

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