Una notte movimentata a causa di alcuni fruscii che piano piano avverto sempre più vicino alla mia tenda. Dall’incespicare dei “passi”, che si arrestano ogni qualvolta faccio un movimento nel mio sacco a pelo, immagino possa essere un gatto o comunque un animale di piccola taglia. Mi riaddormento, ma vengo risvegliato poco dopo dallo stesso rumore. Adesso è sopra la mia testa. Mi drizzo seduto, mi giro ma nell’oscurità non riesco a vedere nulla. Con il telefono che tengo sempre a portata di mano accendo la torcia, e illumino il prato alle mie spalle senza vedere nulla. Finché una macchia marrone sul mio nylon sotto-tenda non attira la mia attenzione. E’ un riccio, a pochi millimetri dalla mia tenda, nonché dalla mia testa. Non faccio in tempo ad accendere la fotocamera che, turbato dal flash della torcia, il riccio si desta e sgattaiola via in un baleno. Stavo dormendo con un riccio appallottolato di fianco alla mia testa. Dopo la tartaruga dei giorni scorsi, ecco un altro incontro ravvicinato. Mi rimetto a dormire ancora per qualche ora..
Mi sveglio che la luce è già ampiamente diffusa intorno a me. Metto la testa fuori per rendermi conto del posto in cui mi sono cacciato ieri sera con il buio. Non mi sorprendo dallo scoprire che in realtà, alla luce del giorno, non sono per niente imboscato come pensavo ieri sera. La gente che passeggia amabilmente nel parco può tranquillamente scorgere la mia tenda. Smonto il più rapidamente possibile, almeno per quanto riguarda la tenda. Nel frattempo cerco un ferramenta su Google Maps, in maniera da comprare i ricambi per sistemare la mia borsa laterale che si è rotta ieri.
Riparto alle otto e zerocinque, tanto prima delle nove i ferramenta non aprono. Mi dirigo verso il bar più vicino e mi fermo per prendere un pezzo di pizza in una panetteria ed un cappuccino nel bar subito a fianco.
Il primo ferramenta apre in ritardo e con la mia solita fortuna non ha nulla che faccia al caso mio. Mentre mi dirigo verso il secondo – quello più lontano ovviamente – individuo anche un meccanico d’auto che potrebbe tranquillamente sopperire a ciò di cui ho bisogno nel caso anche il secondo non avesse i pezzi che mi servono. Entrato in negozio, una ragazza (e vorrei sottolineare che entrambe le ferramenta erano gestite da sole ragazze, molto preparate) mi assiste scrupolosamente vendendomi tutti i pezzi di cui ho bisogno. Per sicurezza prendo anche dei pezzi di ricambio in più, perché come ho imparato, non si può mai sapere. Innanzitutto vorrei provare a sostituire la vite mancante, ma ho seri dubbi possa avvitarsi ancora efficacemente nella plastica ormai deformata della borsa. Per questo motivo, con un dado ed un bullone di scorta sono quasi certo di poter risolvere il problema. Se la vite non dovesse tenere (cosa che sospetto) sono sicuro di riuscire a fissare tutto definitivamente con dado e bullone.
Da Labin in avanti ho ancora un po’ di strada in salita, per arrivare su un altopiano che percorro per tutta la sua lunghezza su una strada secondaria che attraversa piccoli paesini un po’ dimenticati, tra case fatiscenti e colonie di gatti. Poco più avanti, però, mi si para una strada sterrata molto rotta (termine tecnico per indicare che la superficie non è piana, ma presenta numerose spaccature del terreno e grosse pietre sul selciato) con una vista mozzafiato sulla vallata circostante e sul mare Croato. In pratica c’è una lingua di fuoco rossa, data dal colore della terra, che attraversa una maestosa foresta verde di pini, che sfocia dritto sul mare blu di questo tratto della Croazia. Potrei stare qua a descriverlo per ore, e non riuscirei mai spiegarvi pienamente il mio stato emotivo. Sono estasiato, esuberate, euforico. La mia bici non è adatta a questo tipo di strada, lo so bene. Le mie borse sono al collasso e so già che al termine della discesa dovrò sistemare nuovamente quella rotta. Ma di alternative non ce ne sono, e dopo aver controllato ancora una volta su Maps, decido di buttarmi giù per questo sentiero.
Procedo a zig zag per evitare i massi più grossi. Pinzo i freni ad un ritmo costante e cadenzato per non far sciogliere le pastiglie dei freni a causa del surriscaldamento dei dischi. Mi fermo di tanto in tanto per scattare qualche foto. La vista è da paura. Ovviamente sono l’unico, insano di mente, a percorrere questa strada.
Lascio immortalare tutto alla GoPro, non tocco nemmeno una volta il telefono finché non sono ritornato sull’asfalto. Arrivo finalmente in fondo e constato che, come previsto, la vite non ha tenuto. Smonto per l’ennesima volta la borsa e imbullono per bene tutto. Voilà.
Riparto alla volta del traghetto, inizio a sentire forte il calore di questa giornata, ma dopo una bella salita ed una veloce discesa sono alla biglietteria. Un impiegato di un gabbiotto di cambia valuta mi fa appoggiare la bici all’ombra, e mi dice di andare tranquillo al bar per riposarmi ed attendere il traghetto. Uno di questi è appena partito e mi dice che ci vorrà quasi un’ora prima che ritorni indietro. Mi dirigo al bar per una Coca-Cola e subito dopo un gelato. Seduto da solo ad uno dei tavolini faccio finta di niente mentre ascolto le conversazioni dei numerosi italiani che si susseguono al bar.
Mi imbarco per primo, e dopo venti minuti di navigazione sono anche uno dei primi a scendere. Uno dei lati positivi del viaggiare in bicicletta è proprio questo: poter passare davanti a tutti nelle lunghe code di attesa ai traghetti. Mi aspetta una lunga salita, e mi “incammino” con scarsa convinzione, nonostante non ci sia per niente traffico. Eppure questa è l’unica strada che porta all’imbarco, non capisco perché ci siano così poche macchine. Mi fermo per un riposino all’ombra in un tornante e vengo superato da una comitiva di quattro persone in bici, in tenuta da viaggio. Ansioso di conoscerle, aspetto qualche minuto prima di ripartire, certo di poterle recuperare agevolmente. Se mi metto di impegno ho un allenamento sufficiente per farcela; e poi diciamocelo, non stavano andando molto forte.
Poco più avanti infatti li ritrovo lungo la strada all’ombra di un crinale. Mi avevano notato, e hanno deciso di copiare l’idea per una pausa all’ombra.
E’ una famiglia olandese, in vacanza in Croazia in bicicletta. Con due figlie di 11 e 14 anni al seguito, anche loro con una discreta mole di bagaglio. Il papà tira il gruppo, e io mi affianco alla mamma per farmi raccontare come siano riusciti a convincere due teenagers a fare delle vacanze in bici. Mi raccontano che, dove vivono loro, si spostano già quotidianamente in bici per cui il passo non è stato difficile. Una prima gita in bici, poi la prima mini vacanza ed infine il primo viaggio.
Sono stupefatto e geloso allo stesso tempo. Non nego che non mi dispiacerebbe affatto trovare una compagna di vita a cui piace viaggiare in bici, e poi chissà, tra qualche anno avere dei figli cui provare a trasmettere le stesse passioni.
All’ingresso della città di Cres ci salutiamo. Io mi dirigo in centro per cercare una spiaggia in cui fare il bagno e riposarmi un poco. L’unica spiaggia non super affollata è quella per i cani in cui decido di fermarmi. Mi permetto il lusso di una doccia fredda prima di ripartire.
Nello seguire Komoot, questa volta intraprendo una salita decisamente troppo ardua. E’ un sentiero per capre, a giudicare dalle cacche presenti sul tracciato e mi ritrovo ben presto a spingere la bici. Sto perdendo una marea di tempo e di ore di luce. Questo scherzetto mi costa diversi chilometri in più e una mole preziosa di energia non quantificabile. Sono all’inizio di una salita di undici chilometri, per raggiungere un piccolo paesino dell’isola che ha una delle spiagge più belle della zona. La strada è poco trafficata, con macchine però di grossa cilindrata, quasi tutte con targa straniera. Intorno a me, in quello che pare un paesaggio extra terreste, si staglia una roccia rossa e spigolosa intervallata da radi arbusti, molto bassi. Inizio ad essere veramente stanco, anche se manca poco. Quando credo che manchi solamente più la discesa, ecco che la strada ricomincia a salire. Mentre salgo per l’ennesima volta in piedi sui pedali, sento la bici cedere sotto di me. Mi fermo per controllare la ruota anteriore e la sento molto sgonfia.
Inizio la discesa e la bici nelle curve tira dritto. Mi fermo di nuovo solo per appurare che anche la ruota posteriore si sta sgonfiando lentamente. Non ci voglio credere. Con molta fatica, entro barcollante nel paesino di Valun, una piccola cittadina che vive prevalentemente di pesca e di turismo estivo.
Scelgo al volo un ristorante spulciando tra le recensioni online e parcheggio la bici nel dehor. Non accettano la carta, per cui devo farmi letteralmente i conti in tasca mentre scelgo dal menù di pesce. Nel frattempo, mentre aspetto l’ordinazione, devo capire come risolvere il grosso problema delle ruote sgonfie.
Ad occhio almeno una è da sostituire, mentre quella anteriore potrebbe tenere se ben gonfiata. Il mio grosso problema è che servirebbe un compressore per raggiungere la pressione idonea per sorreggere il mio peso ed il peso dei bagagli.
Mentre mangio vaglio i possibili scenari. L’idea è quella di dormirci su è cercare di risolvere la situazione domattina appena i primi locali aprono. L’obiettivo è quello di trovare un compressore, sostituire le camere d’aria e partire. Nel malaugurato caso in cui non riesca a trovare un compressore, però, mi toccherà spingere la bici per cinque chilometri di ripida salita. La pompa da bici che mi porto dietro purtroppo non è minimamente sufficiente, e basterà a malapena a gonfiare un po’ le ruote.
PLAZA RACA
Finisco di mangiare e mi dirigo verso la spiaggia per la quale ho fatto tutta questa immane fatica. Ne vale decisamente la pena. Lascio la mia bici sotto un albero e mi godo l’acqua azzurra cristallina del mare, ancora tiepida a fine giornata e mi asciugo sotto gli ultimi raggi del sole. Poco distante da me, due donne con un bambino piccolo stanno parlando in una lingua che fatico a comprendere, ma alcune parole sono chiaramente in italiano. Una volta asciutto faccio un giro per controllare se c’è un posto adatto a trascorrere la notte, e mentre torno sui miei passi in spiaggia, chiedo alle due donne se qualcuno in paese potesse avere un compressore per gonfiare le ruote. Una delle due mi risponde che suo marito ha sicuramente una pompa, e che lo posso trovare al ristorante San Marco, di cui è il proprietario.
Rincuorato da questa soluzione gonfio un po’ la gomma posteriore, quanto basta per poter arrivare al locale, con la ruota nuovamente a terra. Chiedo del titolare e mi comunicano che è appena andato via in bici. Deve sicuramente essere quello che ho incrociato pochi minuti prima sulla passeggiata lungo mare.
Dopo alcuni minuti ritorna con tutta la famiglia al seguito, e chiedo per un pompa per gonfiare le ruote. Mi tempesta di domande sul viaggio, e poi mi comunica che domattina potrò trovare la pompa direttamente al locale, perché al momento ce l’ha a casa. Domattina prima di uscire in barca la lascerà ad uno dei ragazzi che apriranno il ristorante.
Dopo pochi minuti però ci ripensa e mi dice:
– Aspetta qua, che vado a prenderla. E’ più probabile che domattina me ne dimentichi, per cui meglio se vado a prenderla ora.
Riparte in bici e dopo pochi minuti rientra con una pompa per bici in una mano, e la sigaretta nell’altra.
Mi posiziono in una zona del lungo mare, di fronte al ristorante, in cui non do fastidio ed inizio la lunga procedura di scarico bici, e smontaggio ruote. Gonfio per bene la ruota anteriore, e domattina verificherò la tenuta. Se sarà nuovamente a terra la cambierò domani, altrimenti proseguirò ancora gonfiandola di tanto in tanto. Nel frattempo sostituisco la camera d’aria posteriore. Nel mentre, turisti e gente del posto mi passa a fianco sempre molto incuriosita e qualcuno si ferma anche a scambiare due parole.
Dopo più di un’ora, e non senza poca fatica, rimonto tutto sulla bici. Mi dirigo verso il titolare, seduto ad un tavolino nei pressi dell’entrata del locale. Mi siedo al suo tavolo ed ordina una grappa alle erbe anche per me. Lui mi racconta un po’ la vita dell’isola, la sveglia presto, l’uscita in barca per pescare sia per la famiglia che per il ristorante. E poi le commissioni per il locale e gli inverni trascorsi in una delle isole, perché questo paesino è quasi disabitato fuori dal periodo estivo.
Controlla il mio itinerario di viaggio e mi da del folle perché c’è troppa salita. Mi consiglia un paio di deviazioni per semplificarmi il viaggio che mi annoto mentalmente.
Mi dice che si occupa anche della gestione della spiaggia sulla quale sono stato poco prima. Gli chiedo se è un problema dormire lì per questa notte, e mi rassicura dicendo di prendermi un lettino e dormire tranquillamente che nessuno verrà a disturbarmi stanotte.
Lo saluto di cuore e ritorno alla spiaggia per sistemarmi per la notte. Una leggera musica di sottofondo proviene da una delle case in prossimità al mare. Un paio di avventori notturni passeggiano al chiaro di luna mentre mi dispongo sul materassino. Stasera, nonostante ci sia gente intorno, mi sento più che sicuro ad accamparmi qua. Tiro fuori il sacco a pelo perché l’aria è già freschina adesso, e sono certo che mi tornerà utile stanotte.
Tra una preoccupazione per le ruote che si sgonfiano e l’altra per la salita che mi aspetterà domattina mi rigiro nel giaciglio finché non mi addormento.