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DAY #7: VALUN > STARIGRAD 75KM

Il mattino ha l’oro in bocca e non potevo che iniziarlo gonfiando la ruota anteriore. La ruota posteriore invece sembra a posto al momento. Ultimato il setup, prendo un po’ d’acqua alla doccia presente sulla spiaggia, mentre un turista si avvicina incuriosito per chiedermi del viaggio. Mi pone una marea di domande, alle quale rispondo dettagliatamente. Prima di andarsene e lasciarmi ultimare gli ultimi aggiustamenti alla bici, mi fa i complimenti, augurandomi buon viaggio.

So che mi aspetta una salita estenuante di cinque chilometri, per cui mi concentro mentalmente. Pause mirate, brevi ed all’ombra e in poco meno di un’ora sono di nuovo in cima. Durante la scalata ripenso alla fatica dei miei viaggi precedenti. In Sardegna e sulle Dolomiti sono state spedizioni scandite dalla necessità di ultimare un determinato percorso in un prestabilito numero di giorni. A differenza del giro d’Italia o del Cammino di Santiago in cui non sono stato necessariamente legato ad un ferreo percorso a tappe. Infatti anche in Spagna, avevo alcuni giorni di margine a disposizione che ho potuto spendere durante il percorso. E questo ha fatto tutta la differenza di questo mondo, permettendomi di viaggiare e superare le situazioni più ostiche con tutt’altro spirito.
Oggi mi trovo a rivivere nuovamente quelle emozioni di libertà e spensieratezza provate nei miei primi viaggi, in cui non avevo preoccupazioni se mi fermavo un giorno in più o ero in ritardo sulla tabella di marcia. E’ con questa leggerezza che supero agevolmente questi difficili chilometri in salita, arrivando in prossimità di Cres per poi deviare mantenendomi in quota verso Merag, il porto dove salperà mio prossimo traghetto.

Sulla nave controllo nuovamente dislivelli e itinerario alla luce della problematica traccia di Komoot. Capisco che l’isola di Krk, sulla quale sto approdando non fa per me. Ho già parecchio dislivello nelle gambe e quell’isola ne aggiungerebbe troppo per le mie capacità psicofisiche attuali. Opto per cui di tagliare fuori l’isola e ripartire con il primo traghetto per l’isola di Rai, decisamente più a portata di mano come dislivelli. Quindi breve scalo a Valbisca, con tappa bar annessa per bere due Coca-Cola, e poi si riprende il traghetto per Lopar, sull’isola di Rab. Ne approfitto per ricaricare luci e powerbank ed all’arrivo sull’isola cerco una caletta per spendere un po’ di tempo e far passare l’ondata di caldo. Mi dirigo verso una caletta non molto distante dal porto, ed incrocio una coppia di cicloviaggiatori in procinto di andarsene. Dopo le domande di rito ci congediamo in quanto hanno un traghetto da prendere.

Faccio il bagno, prendo il sole e cerco di distendere i muscoli delle gambe. Nel tardo pomeriggio riparto, l’isola è piccola e poco trafficata. Al primo supermercato che incontro ne approfitto per acquistare due banane, un succo di frutta ed un pacchetto di biscotti. Dopodiché l’itinerario mi porta su una strada secondaria molto carina, ma con temperature decisamente proibitive nonostante siano le quattro del pomeriggio inoltrate. Il mio contachilometri segna 40.5 gradi. Non ci voglio credere. Mi fermo per ricontrollare. 40.1 gradi all’ombra. Mi sembra assurdo, ma pedalando e con una leggera brezza in faccia si riesce a continuare. Fino alla prossima pausa all’ombra. Mi fermo a scattare qualche foto ad un’altra spiaggia abbastanza turistica prima di immettermi sull’ultima tratto di strada che mi porta all’ultimo traghetto di oggi: quello per la terraferma.
Sulla lunga discesa che mi conduce al porto supero e saluto una macchina con targa italiana. Ritrovo poco dopo il guidatore alla biglietteria del traghetto mentre esco con il ticket in mano. Nell’attesa dell’orario di imbarco mi dirigo al bar per ordinare la solita Coca-Cola.
Mentre mi siedo ad uno dei tavoli del bar, una voce femminile in inglese, dietro di me, sento che dice:
– Bella bici!
– Grazie! Anche la tua non è male – faccio un cenno del capo indicando la sua moto iperaccessoriata. E’ così che si presenta Jade, biker inglese di Sheffield e diretta in Georgia. Scambiamo due parole al bar, dopodiché saliamo ognuno sulla propria due ruote e le dico di seguirmi per evitare la lunga attesa dovuta alle numerose auto in coda. Con un rapido zig-zag ci ritroviamo in testa alla fila, in attesa del via libera all’imbarco. Il tempo di permettere a tutte le auto di sbarcare ed ecco il nostro turno. Gli addetti al parcheggio ci indirizzano come sempre all’inizio del traghetto, questa volta sul lato sinistro e ci posizioniamo in maniera tale da occupare il minor ingombro possibile.

Avevo capito che la traversata sarebbe durata cinquanta minuti, ma dopo dieci minuti intuisco che devo aver capito male. In quindici minuti di fitta chiacchierata siamo sul versante opposto. Facciamo un paio di foto di rito sul traghetto e sbarchiamo con i mezzi sulla terraferma. Prima di separarci ci scambiamo un grosso abbraccio, di quelli che ti lasciano un sacco di sensazioni positive addosso ancora per le ore a venire. Decidiamo di tenerci in contatto, visto che in linea di massima condividiamo lo stesso itinerario, pur essendo consapevoli che le probabilità di rincontrarsi viaggiando su due mezzi cosi differenti sono abbastanza remote. Resto qualche minuto in porto per vagliare nuovamente l’itinerario. Ma nonostante questo riesco a sbagliare strada, due volte, ad una delle prime biforcazioni che incontro una volta ritornato in alto.

La strada prosegue sul crinale, a molti metri di altezza rispetto al mare. In questo tratto la costa è alta e rocciosa, interrotta frequentemente da alcune baie e insenature intorno alle quali si sono sviluppati dei piccoli villaggetti. Consultando una delle varie applicazioni che uso, individuo l’unica fontana della zona in uno splendido paesino in fondo alla vallata. Raggiungo il paese dopo cinque chilometri di discesa non troppo ripida, e lo attraverso sotto gli sguardi incuriositi degli abitanti del posto, chiaramente non abituati a turisti in bicicletta. Vista l’ora, sono le nove di sera inoltrate, mi dirigo immediatamente a cercare la fontana, che trovo dinnanzi al piccolo cimitero cittadino, e poi torno sui miei passi alla ricerca di un posto dove passare qualche ora a dormire. Non avendo visto nulla di interessante, torno un’altra volta verso il centro del villaggio e ne approfitto per farmi un bagno veloce insieme ad un paio di bambini che si stanno bagnando sotto lo sguardo attendo della mamma. L’acqua è fresca, ma il fondale è pietroso. Mi concedo qualche minuto di relax, prima di riprendere la bici e proseguire sull’altra estremità del paese sperando di trovare una caletta tranquilla per la notte.

Arrivo su una passerella pedonale, e lascio qualche istante la bici per verificare se riesco a passare spingendola a mano. Proseguo per un centinaio di metri, e giunto alla fine della passeggiata trovo un posto che mi piace, nonostante ci sia ancora una famiglia in procinto di andarsene. Il villaggio è davvero piccolo, a giungo alla conclusione che difficilmente qualcuno verrà ad importunarmi. D’altro canto, se non monto la tenda e mi fermo solo qualche ora, senza causare alcun disturbo, non vedo ragione alcuna per cui dovrebbero intimarmi di andarmene. Rincuorato da questo pensiero, nonostante l’ora tarda ed il buio orami inoltrato, mi preparo un cena con il cibo liofilizzato della Decathlon – riso al curry – mentre alcuni ragazzi sono arrivati per fare qualche tuffo dopo cena.

Raccolgo tutte le mie borse in un angolo di questa mini caletta, lego la bici al corrimano della passeggiata e mi stendo per riposare su una pedana in cemento in riva al mare. Un cielo stellato da paura come tetto, le onde del mare come melodia rilassante, e nonostante qualche passo in lontananza misto a voci dei locali, riesco ad addormentarmi profondamente.

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